L’Uomo fiammifero.Commento di Elena Capperucci (29.12.2016)

L’Uomo fiammifero (2009) Regia di Marco Chiarini 

Commento di Elena Capperucci

 

Il film racconta la storia di un bambino di dieci anni, che come il Pollicino della fiaba, è stato abbandonato in tenera età dalla madre scomparsa prematuramente e nello stesso modo ha disseminato indizi, lungo il percorso temporale che lo separa da lei, nella speranza di poterla ritrovare.

 

Ci sono delle notti che invece di dormire fino al mattino mi sveglio senza motivo e inizio a pensarla; piano piano delle voci, come i suoni di un vecchio giradischi, iniziano a parlarmi, raccontano la storia di tutte le cose che ho lasciato…”.

 

Simone ha dieci anni, si trova nel delicato passaggio dall’infanzia alla pubertà, ma i ricordi delle cose importanti che deve lasciare dietro di sé, compreso il rapporto con la madre amatissima, gli impediscono di compiere il salto evolutivo e lo tengono sospeso tra la realtà e il sogno; evita la compagnia dei pari che trova noiosi, e si rifugia in un mondo di fantasia, circondato da amici immaginari ognuno dei quali rispecchia una parte del Sé che Simone non può ancora integrare.

 

Il padre, Pietro, sente che deve aiutare il figlio a diventare un uomo, ma è anche profondamente ambivalente, forse perché percepisce nel figlio una sensibilità differente “la madre era raffinata… lui assomiglia alla madre” e la crescita potrebbe portarlo lontano; chiede a Simone di separarsi dai giochi e di assumersi delle responsabilità, mentre in cucina, sulla tavola, troneggia un vaso di pesche sciroppate che risalgono al matrimonio, sorta di urna cineraria che testimonia il dolore per una separazione non ancora elaborata e che diventa per il figlio cibo tossico.

 

Simone si prepara ad un evento molto importante, un’epifania che gli consentirà di mostrare al padre che il sogno può diventare realtà: giungerà fino a loro l’Uomo Fiammifero, personaggio di fiaba evocato dalla madre nei giochi dell’infanzia; a lui Simone potrà chiedere di esaudire il suo desiderio che tutto possa tornare come prima, che l’orologio possa essere riportato indietro. L’Uomo fiammifero contiene i segreti dell’infanzia e del rapporto con la madre, ma anche i segreti degli adulti perché come loro conosce il mistero della nascita, fa nascere le lucciole e accende le stelle, simbolicamente richiama ad un altro evento sospeso, quello dello sviluppo sessuale che trasformerà il bambino in un uomo. I personaggi che animano la fantasia del ragazzo mettono in scena i suoi conflitti interiori: al desiderio di ricongiunzione con la madre, Giulio Buio ovvero il lato oscuro di Simone, oppone la paura del ritorno di una madre che lo ha abbandonato da piccolo, il timore che l’abbandono possa replicarsi nelle relazioni future. Simone deve fare i conti con una spinta pulsionale che alimenta fantasie, una realtà fatta di carne che attende di essere liberata, come il maialino Nino, a cui Simone cerca, difensivamente, di mettere le ali dell’angelo, perché possa volare fino all’Uomo Fiammifero e ricongiungersi con la madre-stella.

 

Rubino, il “giovanotto” figlio dei vicini, incarna nella fantasia di Simone un modello maschile prepotente, l’incontrastato padrone del pollaio, incontinente e dissacratore, che attira le falene con la sua luce (narcisistica) e le imprigiona. Simone disprezza Rubino perché è disincantato, rozzo, non vede dentro alle cose le presenze nascoste, ma forse è anche geloso della sua capacità di usare l’aggressività, del suo potere contrattuale che costringe il padre ad “essere carino” con lui.

 

Simone osserva, cerca di capire come sono fatti gli adulti, il segreto della femminilità e dell’essere uomo, e cerca la strada per una personale individuazione, in questo lo aiuta un’incontro. In un mondo in cui nulla di reale sembra accadere, Simone incontra finalmente una bambina vera, Lorenza, il personaggio che mette in moto il racconto e la sua trasformazione. Lorenza non si lascia intimidire dalla diffidenza di Simone, non commenta e non critica quello che l’amico le racconta, è incuriosita dalle sue ricerche, guarda con i suoi occhi, come fanno i bambini quando giocano e il gioco diventa la loro realtà. Simone è spinto dal proprio istinto epistemofilico, per usare un termine kleiniano, ad esplorare i segreti della natura e in questo percorso è scienziato ed artista perché la sua rappresentazione del rapporto con la madre ha anche una valenza estetica, capace di costruire l’incantamento, il gioco in cui la bambina può entrare e identificarsi con lui. Simone le mostra il contenuto del suo zaino, teme di non avere oggetti sufficienti per interessarla, ma Lorenza vede oltre, lo incoraggia a continuare. Simone la sente vicina, non è una femmina- lucciola come Dina Lampa… come la madre che appare e scompare, la può toccare, può emozionarsi della sua vicinanza e finalmente ritirare i suoi investimenti edipici per vivere un rapporto in sintonia con i suoi bisogni evolutivi. Lorenza diventa il terzo nella relazione tra Simone e il padre, che consente di ricreare un clima di intimità famigliare, di rimettere le cose a posto e sulla tavola accanto al cibo degli adulti si affianca il cibo dei bambini.

 

Un evento inaspettato porta via Lorenza prima della fine dell’estate. Simone vorrebbe lasciarle un dono, forse una dichiarazione dei suoi sentimenti, ma la separazione improvvisa sembra riattivare la sua angoscia di essere un bambino di poco valore: “chissà se le cose ti interessavano veramente o se facevi solo finta?”. Lorenza capisce e gli lascia un bacio e la promessa di rivedersi.

 

Nel ritornare a casa Simone ascolta non visto Rubino, che inconsapevolmente gli sbatte in faccia la realtà, l’uomo fiammifero non esiste, e la realtà della vita del padre è dura, sia quella emotiva “da quando gli è morta la moglie…” che quella concreta, infatti rischia di perdere il lavoro. Rubino ha in mente di approfittarne e di impossessarsi aggressivamente della moto del padre, la sua eredità. Simone riesce a provare una rabbia bruciante, che lo disancora definitivamente dal sogno, accetta la realtà della vita, accetta di lasciare i giochi dell’infanzia, brucia nel falò il disegno con cui rappresentò la famiglia felice, adesso integrata degli aspetti di realtà e anche le sue fantasie cambiano segno: non più la nebbia che avvolge la madre e il bambino prigionieri di un bosco-utero, ma il ricordo vivido della corsa in moto, con una coppia di genitori felici. Con il falò Simone sembra liberarsi di un peso, quello di nutrire la fantasia onnipotente di tenere in vita la madre. Simone è cresciuto, può dire a sé stesso che la madre non c’è più e che gli manca tantissimo e il tempo interno può finalmente riprendere il suo cammino.

 

 

29/12/2016

Centri Clinici AIPPI

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