Il castello errante di Howl. Commento di A. Gentile

 

Il castello errante di Howl, di Hayao Miyazaki (2004)

Commento di Aurora Gentile

 

Lo steampunk è un filone della narrativa fantastica. Le storie steampunk descrivono un mondo anacronistico (a volte un’ucronia) in cui tecnologia e strumentazioni vengono azionate dalla forza motrice del vapore (steam in inglese) e l’energia elettrica torna a essere, come nella fantascienza ottocentesca, un elemento narrativo capace di ogni progresso e meraviglia; dove i computer sono completamente meccanici, o enormi apparati magnetici sono in grado di modificare l’orbita della luna. Un modo per descrivere l'atmosfera steampunk è riassunto nello slogan "come sarebbe stato il passato se il futuro fosse arrivato prima". Quello che forse è più interessante in questo tipo di narrativa è la manipolazione del tempo che mette al lavoro immaginariamente scarti del passato lanciandoli in combinazioni inedite verso il futuro.

Il Castello errante di Howl potrebbe inserirsi almeno in parte nel genere e l’arte di Miyazaki stesso è un’arte composita in cui resti del passato suo personale (l’esperienza della guerra) e della cultura giapponese (lo shintoismo) si mescolano con la tecnologia avanzata delle sue opere di animazione.

Il film è uscito nel 2004, realizzato e prodotto da Hayao Miyazaki, dello Studio Ghibli, ed è un adattamento del romanzo di Diana Wynne Jones, autrice di romanzi fantastici, pubblicato nel 2003, che ha avuto un enorme successo.

Miyazaki ha ricevuto un Leone d’Oro alla Mostra del Cinema di Venezia e un Oscar alla carriera, ed è stato definito dalla rivista Time, una delle personalità più influenti del pianeta. Il Museo a Tokio, a lui dedicato, accoglie 70000 visitatori all’anno. Nel 1985 ha fondato una società di produzione che si chiama Ghibli, dal nome di un aviatore italiano degli anni ’40. Il nome evoca quegli anni di guerra che hanno segnato la vita del regista, e che ha fatto della guerra uno dei temi di fondo delle sue creazioni.

Ecco la trama. Sophie, la protagonista di 18 anni, che vive con una sorella avendo perso i suoi genitori, ha rinunciato all’amore, perché convinta di non essere bella. Un po’ triste, si accontenta di fare il suo lavoro, cucendo cappelli nel negozio di famiglia. Finché un incontro di fortuna con il bellissimo mago Howl, la risveglia dal suo torpore rassegnato. Ma appena il tempo di innamorarsene, che la malefica Strega delle Lande, ingelosita, la trasforma con un sortilegio in una vecchia novantenne. È la prima di una lunga serie di trasformazioni. Sophie diventata una vecchietta fugge e erra per terre desolate, finché, ancora una volta per caso, entra nel Castello errante di Howl, e nascondendo la sua vera identità, si fa assumere come sguattera e cuoca. La sua nuova identità tuttavia ha sbalzi di umore e comprende stati d’animo diversi, che si riflettono nelle repentine trasformazioni del suo corpo, che ritorna giovane a momenti, e negli scenari che variano da distese ridenti e primaverili, a cupi e freddi inverni. Ma protagonista della storia è anche il bellissimo Howl, che davvero non sa rinunciare alla sua straripante bellezza, né sa davvero cosa vuole se non tenersi stretto il suo piccolo demone Canciper, rappresentato da un piccolo fuoco che fa muovere il castello e guida le trasformazioni di questo. Ma non si può raccontare la storia del castello errante, perché il film non ha una vera trama, e, una volta finito, come sempre con Miyazaki, abbiamo la netta impressione di aver giocato tutto il tempo con un caleidoscopio. Ed è proprio così, per i rapidi cambiamenti delle scene senza molte informazioni sul contesto del paesaggio, per gli spostamenti dei corpi nello spazio e le improvvise metamorfosi, che non sono solo quelle di Sophie, ma della grande maggioranza dei personaggi e delle diverse e innumerevoli scene nelle quali questi evolvono continuamente. Al centro è il Castello errante, che dà nome al film.

Una spessa nebbia, un’ombra indistinguibile e suoni metallici accompagnati da sbuffi di vapore avvolgono la macchina infernale del castello: questa è l’apertura del film. Ci viene presentato subito dunque uno dei suoi elementi maggiori, una curiosa abitazione fatta di pezzi vari, che avanza zoppicando e producendo una sorta di borbottio che rompe il silenzio dei vasti spazi naturali della sequenza. Questa strana “casa” ci sembra del tutto inverosimile, non la identifichiamo, non riusciamo a capire di che si tratta. L’inverosimile montaggio architettonico è composto da diversi aggregati che si estendono su più livelli e sembrano appartenere a epoche diverse: stanze in legno, pezzi di muri di pietra, decine di finestre sgangherate, parapetti e ringhiere, camini fumanti.

Mentre i piani cinematografici si succedono, piano piano arriviamo a cogliere i contorni del castello che passeggia nelle lande grazie a zampe d’uccello metalliche, ed è ornato sulla facciata da una sorta di volto anfibio con una bocca che aperta lascia intravedere una lingua. Questi dettagli estetici rivelano che il castello è vivente: respira (il fumo e il vapore), comunica (per il tramite di espressioni e altri suoni metallici, il castello soffia), si muove, e le travi visibili evocano la struttura di uno scheletro. Per la sua singolare plasticità il castello è una formidabile macchina del tempo che è a disposizione dei suoi abitanti, e che però conserva, per quanto in movimento, e a suo modo, la sua armonia.

Questa stupefacente architettura consente in effetti la fluidità di azioni e scene diverse, si passa da una scena all’altra, da uno spazio all’altro, quasi come in un sogno. Sono proprio questi aspetti onirici che ci fanno dubitare della realtà che rendono a volte difficile la sua comprensione. Forse per questo il regista insiste su scene del quotidiano (la pulizia del bagno, le scene dei pasti, Sophie che riposa davanti al fuoco), quasi a voler trovare un equilibrio tra magia e realtà, perché le frontiere tra questi due mondi sono sottili, perfino inesistenti. L’opera di Miyazaki trascende i modelli del racconto classico (di avventura, o di vita quotidiana) e probabilmente affascina proprio per questa fluidità che evita il binarismo città/lande, terra/cielo, animato/inanimato, mondo reale/mondo magico ecc. Così è per Howl, che nonostante la sua bellezza e le sue civetterie, repentinamente può trasformarsi in un orrido mostro, rendendo sporca e impura anche la sua casa. Sophie continuamente riordina e pulisce il Castello, questo è il suo compito: purificare lo spazio di Howl, che però significa anche mitigare la sua irrequietezza, il suo disordine, il suo lato violento e demoniaco. In effetti, il Castello è l’anima di Howl, è “fuori dal tempo”, finchè non incontra Sophie, che in definitiva è come un’altra versione possibile di se stesso. Howl è in erranza, completamente reversibile, non dà nessun credito al mondo interno, non fa esperienza, e rifiuta l’incontro con l’altro. Hohl però è anche un personaggio melanconico, anche se non sa neanche più quello che ha perduto. Il suo essere così plurale nelle sue infinite trasformazioni, e deformazioni, il buono che diventa cattivo e viceversa, rende conto nel film della mutevolezza dei sentimenti e delle fantasie e al tempo stesso di quanto sia difficile il percorso che è necessario fare per arrivare a una definizione accettabile di sé, per questi suoi tratti dunque facilita i processi di identificazione nei bambini e negli adolescenti, tra onnipotenza e limiti. Howl deve imparare a tollerare l’impossibilità di porre rimedio ad alcune cose della vita e a mettere dei limiti alla sua pulsionalità dilagante che irrompe e che cerca di abbatterli. Sophie, fungendo da limite regolatore e contenitore simbolico, in effetti, riesce a offrire a Howl una adeguata possibilità trasformativa, proprio mentre in lui emerge la consapevolezza della propria dipendenza e stato di bisogno, ma anche una preoccupazione per le sorti della sua amica. È proprio alla regolamentazione di sé nel mondo che lavora la posizione depressiva da cui diventa possibile provare nei confronti dell’altro sentimenti ambivalenti ma anche di riconoscenza e amore, come accade a Howl. Ma, come nei meccanismi iniziatici del passaggio all’età adulta, per andare avanti, bisogna essere capaci di separarsi da qualcosa attraverso la dolorosa esperienza del lutto, Howl dovrà lasciar andare il suo demone Canciper, da cui dipendono i suoi poteri magici e la vita del Castello. Al di là dell’incanto per la sua bellezza, questo film, può interessare lo psicoanalista, che nel lavoro clinico con adolescenti, deve accettare di essere attraversato da movimenti contraddittori e affetti massivi, da rappresentazioni anche inquietanti, e ancora sostenere il lavoro depressivo e il confronto con il dolore, senza i quali del resto non ci sarebbe analisi. Col Castello che vola via tra le nuvole, si chiude il film. Forse comincerà una nuova vita per i protagonisti che hanno infine trovato una identità più stabile. Canciper però, all’ultimo momento, ritorna da Howl, e forse rappresenta quel che resta di questa straordinaria avventura alla ricerca di sé dei protagonisti, come una possibilità inedita di un suo impiego diverso nel futuro.

 

24/10/2022

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