I Miserabili. Commento di A. Gentile

 

I Miserabili (Les Misérables). Regia di  Ladj Ly (2019)

Commento di Aurora Gentile

Les Misérables, candidato all’Oscar come Miglior Film Internazionale, vincitore del Premio della Giuria 2019 a Cannes, è un film del regista francese originario del Mali, Ladj Ly. Il regista racconta la sua storia attraverso lo sguardo di tre poliziotti della Brigata anticriminalità (BAC) nel quartiere di Montfermeil, dove Victor Hugo ha ambientato una parte del suo romanzo I miserabili, che è anche un modo di affermare una filiazione con questo testo fondatore e simbolo della cultura francese.

Come nel Montfermeil di allora, anche questo del nostro presente è un ghetto in cui le condizioni di vita sono estreme per la violenza e la corruzione del tessuto sociale e delle relazioni umane. Montfermeil e Clichy-sous-Bois nel 2005 furono sede delle rivolte che incendiarono la banlieue parigina e Ladj Ly, che all’epoca era bambino, ha deciso a sua volta di prendere le armi per raccontare una “sua” banlieue, dopo aver girato molti documentari militanti e codiretto À voix haute (2017).

I primi quaranta minuti del film sono una discesa progressiva nell’universo delle banlieue, e soprattutto una presentazione di questi spazi come una comunità eterogenea. Il regista si è tenuto lontano dai cliché abituali, e sono soprattutto i piccoli traffici di ogni genere, le intese esplicite o tacite tra tutti gli attori di questi spazi (gli zingari, i musulmani, le prime generazioni di immigrati, i bambini e i poliziotti) che occupano la prima parte del film. In questo modo, il regista fa comprendere allo spettatore che le dicotomie bene/male, legale/illegale, qui non hanno senso: tutto è negoziazione, intesa, un dare e prendere secondo il caso. La banlieue appare allora come una polveriera dove tutto può improvvisamente degenerare.

La seconda parte del film è allora la preparazione della rivolta e nel ritmo narrativo che culmina nello scatenamento dell’azione finale, Ladj Ly sembra citare le straordinarie descrizioni delle rivolte parigine del giugno 1832, descritte da Hugo.

È quindi innanzitutto un film politico contro lo stato francese, contro la polizia e l’abuso di potere, e sulla potenza stessa della rivolta che il potere politico non può controllare. Ma il film è soprattutto una riflessione sull’infanzia delle periferie: “Abbiamo voluto porre molte questioni: che significa essere un bambino e crescere in questi territori? Quale è il loro avvenire?”, - dice il regista – “Sono le prime vittime di questo sistema e di questa società ... Per me la responsabilità maggiore di questa situazione è dello stato e dei politici che hanno lasciato che questa situazione peggiorasse da 30, 40 anni. A un certo punto non bisogna stupirsi se la rivolta arriva”.

Nel film a rivoltarsi sono i bambini e gli adolescenti, le vittime principali di questa pax romana di facciata che assorbe gli adulti e li lascia vivere abbandonati a se stessi. Issa, la giovane vittima della brutalità poliziesca, un ragazzino come gli altri, diventa la figura centrale, il perno essenziale di ciò che il regista vuole dire. È lui che guida l’insurrezione contro ogni forma di autorità incarnata dagli adulti. A fare da detonatore è il furto di un leoncino da un circo arrivato in quartiere, i cui proprietari appaiono sgangherati quanto feroci nel pretenderne la restituzione. I poliziotti lo recuperano e trovano il colpevole che è Issa, ma nella lotta contro i ragazzini che vogliono liberarlo, uno dei poliziotti lo colpisce in pieno volto con un proiettile di gomma. Issa riesce a riprendersi, e col volto tumefatto e sfigurato è restituito alla strada, ma non prima di aver subito il terribile trattamento inumano che il domatore di leoni gli infligge, rinchiudendolo in una gabbia e aizzandogli contro il leone, terrorizzandolo fino a farlo urinare, cioè umiliandolo al massimo grado. È un vero e proprio colpo nello stomaco dello spettatore. Soltanto uno dei poliziotti, quello arrivato da poco, pur complice dell'abuso col suo silenzio, cerca di aiutare il ragazzino. È in questa sequenza che il male diviene radicale, assoluto. Nessuna dialettica possibile tra le parti avverse del conflitto. Il saggio musulmano del quartiere aveva profetizzato, citando il Corano, che “La violenza del leone in gabbia sorgerà inesorabilmente” e, nell’ultima mezz’ora, la più folle, la più selvaggia, certamente la più polemica, che restituisce l’atmosfera di guerra urbana delle sommosse del 2005, spetterà a Issa scegliere tra la vita e la morte dei poliziotti.

In L’esprit du mal (2007) Nathalie Zaltzman ha riflettuto sulla dimensione psichica del male come costante della condizione umana, che però “può avere anche una funzione di lievito, d’ispirazione, di sprone al lavoro della cultura”. Per quanto possa sconvolgerci, la rivolta spietata dei bambini può essere un modo d'instaurare una organizzazione sociale nuova, può produrre del nuovo.

 “Mes amis, il n’y a pas de mauvais hommes ou de mauvaises herbes, il y a juste de mauvais cultivateurs” (Victor Hugo). Scegliendo di terminare la storia con questa frase di Victor Hugo, estratta da I Miserabili, Ladj Ly chiude comunque con una speranza... “Perché ci rivoltiamo? Perché non siamo contenti del presente, né di ciò che il passato ci ha trasmesso. Ci rivoltiamo in vista di un futuro. Ma non c’è tensione verso un futuro senza memoria” (Didi-Huberman, Soulèvements).

Ladj Ly non ha dimenticato, nel film possiamo scorgere le figure contemporanee di Javert o di Jean Valjean e Issa è un Gavroche dei tempi moderni, il bambino-leone che invece di morire sulle barricate, sceglie di combattere contro il suo oppressore. Questo film ci aiuta dunque a pensare che ora come allora la rivolta è un segno potente di speranza e resistenza.

Riferimenti bibliografici

Didi-Huberman G., Soulèvements, Paris, Jeu de Paume, 18 ottobre 2016-15 gennaio 2017

Zaltzman N., L'esprit du mal, Paris, L’Olivier, 2007

 

 

 

03/08/2020

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