Figli. Commento di A. Galante

 

Figli. Regia di Giuseppe Bonito (2020)

Commento di Anna Galante

 

“Figli” è un film diretto da Giuseppe Bonito e tratto dal monologo scritto da Mattia Torre “I figli ti invecchiano”. Senza tradire i messaggi espressi nel monologo, ma anzi sviluppandolo con trovate tragicomiche e surreali, il film racconta la storia di Nicola e Sara, due genitori alle prese con l’arrivo del secondo figlio che rischia di rompere l’intero equilibrio familiare. I diversi capitoli in cui è articolato il film, danno voce alle difficoltà con cui le funzioni genitoriali si confrontano e che mettono in crisi l’identità individuale all’interno di un contesto sociale, quello contemporaneo, al quale il film fa spesso riferimento.

La prima scena ci permette di conoscere sin da subito i due coniugi nel vivo di una delle loro classiche liti che hanno per tema centrale “chi si deve occupare di che cosa” e se quel che è stato fatto viene riconosciuto e approvato dall’altro, secondo il presupposto implicito del “50 e 50” con cui la maggior parte delle coppie moderne cerca di dividersi i compiti, per scongiurare un modello superato di padre-lavoratore e madre-casalinga-ancella della casa. 

Facendo un passo indietro attraverso un flashback, scopriamo la vita di questa famiglia quando aveva una sola bambina. Allora i genitori avevano avvertito qualche turbolenza, ma avevano raggiunto entrambi una realizzazione lavorativa e l’integrazione in una ristretta cerchia di amici mai troppo intimi, ma che sapevano intimare l’alt ad ogni scelta scellerata o presunta tale, come appunto il secondo figlio che, secondo la matematica del film, si rappresenta con la formula 1+1=11!

Anche la primogenita di sei anni, Anna, mal tollera la presenza del fratellino che piange sempre (nel film il pianto del neonato è sostituito dalla sonata Patetica di Beethoven) e chiede ai genitori se non stessero meglio quando erano in tre. Anna, appassionata del film Titanic, dopo aver disegnato il transatlantico il giorno dopo la tragedia ancora intero, come ad annullare l’impatto disastroso con l’iceberg, disegna la sua famiglia senza il fratellino Pietro, emblema di un cambiamento rispetto al quale sembrano tutti titanicamente impreparati.

Il secondo figlio sembra anche dare il via ad un distanziamento sociale ante litteram. Fuggono gli amici ancora intenti a tenersi stretta quella grottesca sagoma di giovinezza da non smarrire. Fuggono i nonni, insensibili e sordi al richiamo d’aiuto, perché desiderosi di rifarsi una vita piuttosto che spendersi in quella già loro. Non resta ai genitori che l’impulso a fuggire, correre a gambe levate appena fuori di casa, sentendo la casa come una prigione, come suggerisce l’immagine di Sara che quando torna a casa si aggrappa al cancello come alle sbarre di una cella. La tentazione massima è invece quella rappresentata in più scene di compiere il gesto estremo di buttarsi dalla finestra, come per sottrarsi magicamente a qualsiasi responsabilità.

Quando Nicola e Sara trovano una baby-sitter, lontana dal proprio ideale di chi si dovrebbe prendere cura dei figli, ma pur sempre unica ancora di salvezza a disposizione, possono finalmente fare la tanta agognata uscita da soli come un tempo. Ma si scoprono stanchi, obbligati a divertirsi per sentirsi liberi, attanagliati dal senso di mancanza di chi, fino a pochi minuti prima, toglieva loro il respiro. Scoprono di sentirsi soli, incompresi dall’altro e privati della loro precedente vita.

Come ultima spiaggia, stremati dal pianto del neonato, i genitori si affidano anche ad una “pediatra-guru”, che ricorda loro quanto i figli mettano in scena quello che i genitori scelgono di essere. Possono assorbire tutta la rabbia e i rimpianti di chi li ha concepiti, possono far propria la confusione e l’insoddisfazione che scalda come un fuoco papà e mamma, ma raffredda i loro sogni. I figli si svegliano (non solo con una “patetica” lacrima) per far sentire che esistono veramente, che non hanno bisogno di qualcuno che li guardi (nonni, babysitter, maestre), ma di un genitore che li accetti e che impari ad ascoltarli profondamente.

Così Nicola e Sara iniziano ad accogliere questa nuova realtà, ad abbracciare le proprie debolezze e quelle del compagno, a constatare che con amore e scrupolo si possono fare piccole grandi cose (come Sara ha sempre detto nel suo lavoro durante le ispezioni nei ristoranti).

Il film si conclude con la stessa scena iniziale, ma la discussione termina con il sorriso e con un darsi la mano per saltare nel vuoto, stavolta insieme. Finalmente sono degli adulti più consapevoli, pronti ad essere disegnati da Anna sul Titanic tutti sorridenti, ma a questo punto in quattro, con il piccolo Pietro!

24/10/2020

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