Caterina va in città. Commento di M. Silvestri

 

Caterina va in città. Regia di Paolo Virzì (2003)

Commento di Margherita Silvestri

Caterina va in città è un film diretto da Paolo Virzì (2003), candidato a due David di Donatello del 2004, ha vinto il premio per la migliore attrice non protagonista, assegnato a Margherita Buy.
Virzì racconta la storia di Caterina, una tredicenne che si trasferisce insieme alla sua famiglia da Montalto di Castro, un piccolo comune in provincia di Viterbo, a Roma nella casa di una vecchia zia. Questo trasferimento darà inizio ad una serie di vicende tutt’altro che semplici per questa famiglia; sia Caterina che i suoi genitori, infatti, avranno non poche difficoltà a trovare la propria strada in questa nuova situazione.

Il padre Giancarlo, insoddisfatto professore di liceo, cerca di riscattarsi attraverso la pubblicazione del suo primo romanzo. I suoi tentativi goffi e deludenti di inserirsi nell’ambiente della Roma “bene”, sgomitando per trovare il suo posto in un contesto in cui viene disprezzato e deriso, hanno però l’unico risultato di rendere ancora più forte il suo vissuto di frustrazione. Giancarlo, impegnato senza sosta nella conquista del successo che è convinto di meritare, è allo stesso tempo invidioso e sprezzante verso coloro dai quali dovrebbe dipendere il suo riscatto sociale e professionale. Sembra inoltre bloccato in una sorta di adolescenza tardiva: si sente, come dice, un ragazzo ribelle e solitario, ma in quanto adulto risulta patetico e inadeguato.
La madre di Caterina, Agata, sembra invece una donna molto ingenua e spaventata, distratta e con la testa tra le nuvole, sempre sul punto di andare in frantumi. È insoddisfatta e passiva nel rapporto con il marito dal quale subisce continue mortificazioni.
E poi c’è Caterina, una tredicenne dall’aspetto pulito e semplice, che canta nel coro del paese, alle prese con il difficile compito di crescere ben espresso dalle sue parole:

“Qualcosa di me combatte contro qualcos’altro. Mi chiedo: ma dov’è andato a finire il mio Io di prima? E il mio Io di ora sono veramente io?”.

L’arrivo a Roma per Caterina sembra rappresentare un po’ quel processo di passaggio dalla pre-adolescenza all’adolescenza, passaggio che avviene in un modo piuttosto brusco e sconvolgente, proprio come un trasloco da un paesino alla città. Montalto di Castro e Roma, infatti, rispecchiano due condizioni psichiche. La prima, quella del paese, rappresenta il momento di passaggio dall’infanzia all’adolescenza, nel quale iniziano a comparire i primi accenni di una sessualità acerba, manifestata dall’inaspettato bacio che Caterina riceve dal cugino. La seconda, quella della città, invece, sembra rappresentare quella dimensione psichica turbolenta dell’adolescenza nella quale l’esplorazione della sessualità e la ricerca dell’identità sono già all’opera. Caterina ci dà la possibilità di osservare come queste due dimensioni inizino a comunicare, si percepisce chiaramente in lei il percorso dall’una all’altra, o meglio ancora, l’estensione dell’una nell’altra poiché la ragazza porta con sé, fino alla fine, degli aspetti infantili nel percorso verso la dimensione adolescenziale.
Una volta a Roma, Caterina inizia a frequentare la stessa scuola frequentata dal padre trent’anni prima. L’impatto con la nuova classe è difficile; Caterina viene catapultata in un ambiente estremamente diviso: da una parte ci sono i figli di intellettuali, i comunisti, le zecche, rappresentati da Margherita, dall’altra ci sono i figli dei politici e dei medici, i fascisti, i pariolini, rappresentati da Daniela. E poi c’è lei, la nostra protagonista, che non è né fascista e né comunista, né zecca e né pariola, né alternativa e né coatta, ma “normale”, come la definisce un suo compagno di classe.
Caterina stringe amicizia con Margherita, figlia di genitori separati, una ragazzina autonoma e ribelle, molto seduttiva, un “mistero” per sua madre con la quale ha un rapporto molto conflittuale e trascurata da suo padre che è alle prese con un figlio appena avuto dalla nuova compagna. Margherita sembra aver conquistato quella trasgressiva libertà tanto ambita dagli adolescenti, fatta di capelli tinti e tatuaggi. Il suo ideale dell’Io è un condensato di ideali altrui, da lei fortemente condivisi, ma instabili e non integrati, che la rendono piena di contraddizioni. La ragazza, infatti, esprime con forza il suo rifiuto per l’omologazione, eppure le sue parole sembrano sempre un copione imparato a memoria. Il suo atteggiamento verso il mondo degli adulti è conflittuale e ribelle, ma al contempo, ella stessa, ha sviluppato un comportamento adultomorfo. Margherita si occupa di sé stessa come meglio può, a fronte di adulti che si pongono nei suoi confronti in un rapporto paritario.
L’amicizia tra Caterina e Margherita è sin da subito intensa ed esclusiva. Caterina sembra molto affascinata da questa amica che le consente di scoprire la necessità di avere i propri spazi, spesso invasi dal padre, e di lasciarsi andare ad esperienze eccitanti e ad emozioni estreme; in realtà lei non sembra pronta a questo, ma non può fare a meno di dondolarsi su un’altalena di divertimento e “autentico terrore”, consentendoci di sperimentare insieme a lei una continua alternanza di angoscia e sollievo. Le due ragazze ci mostrano il bisogno di agire e di correre dei rischi che non possono essere pensati prima di essere vissuti.
A sua volta Margherita nutre un grande fascino verso la semplicità di Caterina, “pura”, non ancora “viziata e corrotta”, e sembra persino ambire a quella dimensione infantile che l’amica rappresenta, come se sentisse di aver completamente perduto la sua. L’innocenza e l’infanzia di Margherita sono sepolte, come il suo defunto poeta preferito, sotto un’identità stratificata e collettiva.  L’epilogo della loro amicizia arriva quando Giancarlo, andato a prendere la figlia a casa di Margherita, scopre che Caterina ha bevuto alcol e ha un tatuaggio sul braccio.
Segue a quest’episodio la pausa natalizia, durante la quale Caterina ha l’occasione di passare del tempo con Daniela e le sue amiche. Daniela rappresenta un altro quadro adolescenziale in cui prevalgono le amicizie gruppali e l’interesse per l’altro sesso. La ragazza sembra più grande della sua età ed è molto coinvolta nella vita sociale adulta. A fronte di una madre sempre assente, è lei ad affiancare il padre, politico di rilievo, negli eventi pubblici e familiari.
Caterina si inserisce passivamente nel gruppo di amiche di Daniela, un gruppo che funziona secondo un principio di omologazione, ma non riesce ad adeguarsi perfettamente a quello che il gruppo richiede e mantiene la sua individualità, la sua tipicità e la sua diversità, e proprio queste la porteranno ad una brusca rottura con le sue nuove amiche. Caterina ci mostra, infatti, l’esigenza di differenziarsi non solo dall’adulto, ma anche all’interno del gruppo dei pari che le richiede uno sforzo adesivo che non riesce a compiere. L’andamento della sua crescita è lento ed in contrasto con la velocità con la quale Daniela e le sue amiche sembrano aver raggiunto la consapevolezza della propria femminilità e della propria seduttività verso l’altro sesso.

Caterina ci mostra un’alternanza continua di desideri e paure e ci mette di fronte alla difficoltà di comprendere il comportamento adolescenziale che, spesso, può apparire privo di senso o del tutto inaspettato. Non ci aspetteremmo mai, infatti, che una ragazza come lei possa tatuarsi il braccio, partecipare a manifestazioni politiche, aggredire una sua amica o scappare da scuola, eppure è proprio quello che accade e lei stessa non saprebbe spiegarcene i motivi. Caterina, però, potrebbe dirci che ha riconosciuto dentro di sé una spinta, un’inspiegabile esigenza di provare emozioni ed esperienze intense per lasciare indietro l’identità fanciullesca e dare avvio alla turbolenza necessaria alla strutturazione di un’identità complessa ed in transito verso l’età adulta.
Dunque possiamo pensare che per Caterina non sarebbe stato possibile crescere senza aver avuto accesso, attraverso Margherita e Daniela, a profondi sentimenti depressivi e maniacali e a momenti di confusione e paura. Essi rappresentano un caos necessario che, solo dopo aver travolto il quieto fluire della fanciullezza, può essere riorganizzato in un’identità via via più articolata e solida.

15/07/2020

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