Maud Mannoni, Il bambino ritardato e la madre. Commento di Erika Frevola


Mannoni M., (1964), Il bambino ritardato e la madre, Boringhieri, 1971, Torino.

Commento di Erika Frevola

Maud Mannoni,  belga di nascita, trascorre la sua infanzia in Ceylon, dove il padre era console; diviene psicoanalista sotto la guida di Maurice Dugatiez, fondatore della Società Psicoanalitica Belga. Nel 1949 si trasferisce in Francia dove entra in contatto con Françoise Dolto e con Lacan, che influenzano la sua formazione, e si reca spesso a Londra per incontrare Winnicott. L’autrice si dedicherà molto alle problematiche inerenti la disabilità, soprattutto infantile.

 

La pubblicazione del libro “Il bambino ritardato e la madre”, nel 1964 a Parigi, suscita molte critiche in quanto l’autrice viene accusata di voler colpevolizzare i genitori e di fare confusione tra ritardo mentale e psicosi. La critica sostiene che la Mannoni prende in considerazione solo la funzione della malattia mentale del bambino nel fantasma materno, abolendo così la distinzione tra vera e falsa debolezza mentale e denigrando in questo modo gli sforzi dei rieducatori.

 

Nel testo l’autrice sottolinea il frequente abuso degli esami psicologici nei confronti di coloro che presentano debolezza mentale, la collusione dei neuropsichiatri con l’atteggiamento segregativo di alcuni genitori, il disinteresse degli psicoanalisti verso tale problematica e l’applicazione sistematica di metodi rieducativi senza preoccuparsi di comprendere il bambino in relazione al suo desiderio e a quello degli altri.

 

Il lavoro della Mannoni si situa nella tradizione freudiana che, al di là della visione biologica, ha rivelato l’importanza della storia soggettiva nella comprensione della genesi dei disturbi psicologici. L’autrice, considerata una pioniera perché all’epoca la psicoanalisi era considerata inadatta alla cura dei bambini con ritardo mentale, va al di là del debole mentale “vero” o “falso” e cerca di comprendere il significato e la funzione che la debolezza mentale di un bambino riveste per la sua famiglia e per se stesso giungendo, infine, ad un approccio psicoanalitico che apre a possibilità di successo e di sviluppo sostenendo l’uso di una psicoterapia rigorosamente psicoanalitica e la presa di distanza da forme di rieducazione di spirito analitico.

 

L’autrice ritiene che nascita di un figlio riattivi nella madre vissuti inerenti alla propria infanzia e possa far nascere il desiderio di colmare vuoti del passato. Il dare alla luce un figlio infermo certamente colpisce la madre su un piano narcisistico, ma nella realtà si realizza una situazione fantasmatica, in cui il figlio è un oggetto di cui prendersi cura senza interferenze paterne, (il bambino deve sfuggire alla legge del padre), per cui raramente è accolto in una situazione triangolare, cosa che determina anche la scarsa richiesta di una psicoterapia. Per la madre è come se la gestazione del figlio non finisse mai; per cui quest’ultimo rimane dipendente da lei negandogli la possibilità di diventare autonomo. Nel rapporto mamma-bambino talvolta si mettono in atto delle dinamiche sado-masochistiche con una gamma di reazioni perverse, psicotiche, fobiche, in quanto la donna risponde alle esigenze del figlio con i propri fantasmi. Se il bambino si manifestasse come oggetto desiderante, non apparterrebbe più alla madre, ma diverrebbe un oggetto per lei estraneo: di conseguenza la genitrice reagisce tramite l’ammaestramento che maschera la sua angoscia.

 

Rari sono i casi in cui i genitori del debole di mente accettano un inquadramento psicoanalitico del problema, in quanto ritengono che vada risolto soltanto da un punto di vista pratico, intellettivo. Al contrario è necessario poter comprendere il senso e la storia della debolezza mentale, dal momento che il problema non è “essere debole mentale oppure no”, ma risiede nel significato che questo assume nella costellazione familiare. Questo ci fa capire anche perché pazienti con lo stesso QI hanno rendimenti scolastici molto diversi, fenomeno che dipende anche dal contesto affettivo in cui la debolezza mentale si inscrive. L’unico approccio psicoterapico possibile è di “non desiderare alcunché di diverso da ciò che il bambino “è”; ciò consente al bambino di utilizzare al massimo le sue possibilità intellettive. Di fronte alla mancanza di desiderio nell’adulto, il bambino risponde manifestando dei desideri propri. Non avere idee preconcette e lasciar vivere i bambini, osservandoli, li aiuta a prendere coscienza della loro condizione di soggetti. È molto importante che la psicoterapia sia precoce ed inizi prima che la struttura psichica si definisca; al contrario curando troppo affrettatamente il sintomo con una “rieducazione” si rischia in certi casi di provocare un blocco psicotico portando il soggetto solo a manifestare in modo diverso il proprio disagio.

 

Secondo la Mannoni da parte della madre c’è spesso una tendenza a giudicare il lavoro svolto dall’analista con il bambino in modo o negativo o idealizzato. D’altra parte è necessario che l’analista comprenda i fantasmi materni e le sue angosce e le assuma su di sé per liberare il bambino. La psicoanalisi dei deboli mentali è un’esperienza che si avvicina alla terapia degli psicotici per come la famiglia tenta di frenare qualsiasi sviluppo del soggetto. Nel trattare l’analisi del debole mentale è necessario entrare nel mondo dei genitori, per comprendere la posizione che il figlio occupa nei loro fantasmi; solo così si otterrà quel distacco che renderà poi possibile l’analisi del figlio.

 

In certi momenti il bambino ritardato e la madre costituiscono un corpo unico, il desiderio di uno si confonde con quello dell’Altro, tanto che entrambi sembrano vivere la stessa storia. Spesso i sintomi del bambino non fanno altro che “parlare” dell’angoscia materna. Il figlio non sa che è chiamato a svolgere un ruolo che deve soddisfare l’aspettativa inconscia materna. È necessario distinguere i fantasmi del bambino da quelli dei genitori portando il soggetto ad assumere su di sé la propria storia, invece di far sue le difficoltà relazionali della madre con la propria madre. Ogni desiderio di “risveglio” da parte del figlio viene troncato sistematicamente dalla madre, al punto che il bambino crede di non avere nessun potere.

 

Secondo l’autrice la situazione analitica sfocia prima o poi nell’angoscia che insorge nel rapporto transferale; siccome l’analista non desidera niente, il paziente si trova a confrontarsi con il suo mondo fantasmatico, ed è appunto questo svelamento che diventa fonte di angoscia. Una tappa angosciosa per la famiglia del debole mentale è il momento in cui si intravede la guarigione del paziente perché si rimette tutto in discussione nell’ambito della famiglia. La resistenza nell’analisi dei bambini si manifesta in genere dall’Io della madre che spesso interviene ad interrompere ogni progresso prima che il fantasma si riveli. Lacan sostiene che il bambino rappresenta ciò che manca alla madre, per cui è facile riscontare come durante una consultazione la richiesta della madre si cristallizzi intorno alla mancanza. Ma il giorno in cui la mancanza non sarà più tale, il genitore rivelerà allora attraverso il proprio smarrimento il suo problema di castrazione, mascherato fino a quel momento dal bambino che aveva il compito di significarlo. In casi estremi la guarigione di un figlio può significare la morte di un genitore. È necessario non lasciare il genitore solo con la sua angoscia, altrimenti si rischia di compromettere la terapia del bambino. L’analista infine consente l’entrata del soggetto nel mondo simbolico e permette l’inserimento di un terzo termine che consiste nel nome del padre nella fase edipica.

 

La Mannoni ritiene importante il dialogo con i genitori, coltivando in loro la speranza di un’evoluzione se non di una guarigione, ma è contraria nel fornire loro una diagnosi che può essere vissuta come un verdetto di condanna, che ha degli effetti nefasti, prima sui genitori e poi sul bambino. Al di là delle classificazioni dei ritardi, non bisogna far perdere di vista un dato comune sul quale può intervenire la psicoanalisi: in tutte queste famiglie c’è una difficoltà a vivere, una storia patogena che si affianca al ritardo oppure la aggrava.

 

Nell’ultima parte del testo l’autrice estende le riflessioni   relative al debole di mente anche alla problematica della dislessia; ritenendo che la gravità del disturbo può dipendere dal significato ad esso attribuito da parte dei genitori, per cui si può beneficiare anche in questo caso di una psicoterapia.

 

In conclusione la Mannoni affronta tutti i disturbi con uno spirito di ricerca volto a comprendere il senso e la funzione che il sintomo ha per il bambino in rapporto alla sua famiglia.

13/02/2017

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