Massimo Recalcati, L’ora di lezione. Commento di Roberta de Lorenzis (28.05.2016)

Massimo Recalcati (2014) L’ora di lezione. Einaudi, Milano

Commento di Roberta De Lorenzis

"Non respira, non conta più nulla, arranca, è povera, marginalizzata, i suoi edifici crollano, i suoi insegnanti sono umiliati, frustrati, scherniti, i suoi alunni non studiano, sono distratti o violenti […] E' delusa, afflitta, depressa, non riconosciuta, colpevolizzata, ignorata […] E’ già morta? E’ ancora viva? Sopravvive? Serve ancora a qualcosa oppure è destinata a essere un residuo di un tempo oramai esaurito? E’ questo il ritratto smarrito della nostra Scuola.

 

Questo l’incipit del saggio di Massimo Recalcati ‘L’ora di lezione’, il cui tema, la scuola con il suo potenziale e le sue criticità, coinvolge e richiama alla riflessione tutti, genitori, insegnanti e allievi, piccoli e grandi. Non si può non rimanere colpiti da questa immagine nitida, dettagliata, toccante, di gran parte della realtà scolastica attuale. In questo passaggio l’autore sembra avere nella mente il modello di una scuola ‘funzionante’ che non c’è più (del passato o desiderata?), al quale sembra contrapporsi il vissuto di fallimento sollecitato dalla scuola attuale. Certo, crescere e formarsi in una scuola smarrita è faticoso. Un senso di vuoto e nello stesso tempo di curiosità per le successive pagine può cogliere il lettore, frastornato dal confrontarsi con sensazioni diverse, già dalle prime righe del libro. Invece di proseguire, chiudo il libro, per osservarne meglio la copertina.

 

Una lunga fila di bambini in divisa scolastica attende che un’insegnante (o un’infermiera) con un camice bianco somministri a ciascuno di loro una medicina (olio di fegato di merluzzo, scopro successivamente). La foto fa pensare ad una scuola di altri tempi, a quell’antica istituzione concentrata sul rigore e la disciplina, ma nello stesso tempo si respira qualcosa di famigliare. Simbolicamente quella scena rimanda anche l’idea, quanto mai attuale, di un sapere ‘imboccato’ agli studenti, come fossero dei ‘vuoti’ da ‘riempire’. La scuola di un tempo e quella odierna, appaiono a prima vista opposte, ma analizzandone il percorso evolutivo, Recalcati sembra avvicinarle e a volte sovrapporle, come fossero i risvolti di una stessa medaglia.

 

L’autore descrive nella prima parte del libro lo sviluppo del mondo scolastico chiamando in causa il concetto psicoanalitico di ‘complesso’, inteso come un insieme organizzato di rappresentazioni inconsce che orienta e dirige la vita delle persone, ma anche quella dei gruppi e delle istituzioni. Attraverso una prosa fluida e ricca di dettagli, analizza la relazione tra maestro e allievo con le categorie della seduta psicoanalitica e costruisce gran parte del suo racconto a partire dal pensiero dello psicoanalista Lacan e dalle sue teorie sul ruolo ed il valore della parola e del linguaggio. Non mancano numerosi riferimenti filosofici all’argomento formazione.

 

Edipo, Narciso e Telemaco sono le tre grandi figure mitologiche ‘prese in prestito’ dallo psicoanalista milanese e gli omonimi complessi, associati alla scuola, si susseguono nel tempo, ma possono anche essere simultaneamente presenti, sottolinea Recalcati. Racconta di una scuola-Edipo, quella antica, fondata sull’autorità del Padre e sul mito dell’obbedienza (e della paura), siglata fortemente da un patto generazionale tra insegnanti e genitori che alimenta nei figli moti di rabbia e conflittualità. Spazzata via dai venti di rivolta iniziati nel ’68, che sembrano proprio aver risposto ai criteri edipici, la scuola-Edipo lascia il posto, o forse è meglio dire, prepara il terreno per la scuola-Narciso, quella contemporanea secondo l’autore; è questa l’epoca de ‘l’evaporazione del padre’.

 

Narciso rappresenta la figura di chi si perde nella propria immagine, sancisce l’assenza dell’altro e la rottura dei legami. In questa scuola il patto tra insegnanti e genitori è ormai frantumato, travolto da una nuova alleanza tra adulti e figli-allievi che annulla conflitti e differenze generazionali, confonde i ruoli, abolisce ostacoli e limiti. Il modello educativo che impera è quello ipercognitivista, del riempimento delle teste, del valutare positivamente solo la perfetta ripetizione della lezione propinata dall’insegnante. In questa scuola il disagio dei nostri figli, riflette Recalcati, non è più centrato sul conflitto tra le generazioni, ma sulla perdita della differenza tra generazioni, sull’assenza di adulti in grado di sentirsi tali e di riconoscere le proprie responsabilità nella crescita emotiva e formativa di bambini e adolescenti. Si assiste allora alla “sofferenza muta dei corpi” degli studenti sempre più annoiati o iperattivi, depressi, distratti, anoressici o obesi, non desiderosi, connessi costantemente alla rete (forse come illusione di avere sempre ‘qualcuno’ accanto). ‘Una sofferenza che non sembra più riguardare il contrasto tra sogno e realtà ma l’assenza della capacità di sognare, sostiene l’autore che si chiede cosa si possa fare per limitare il “ritiro autistico dei nostri giovani”. Intanto sarebbe importante che l’insegnante, e l’adulto in genere, riflettesse su se stesso con pensiero critico e provasse a tradurre le espressioni del disagio, l’iperattività o il deficit di apprendimento come interrogazioni inconsce al sapere, scrive Recalcati.

 

Lo psicoanalista milanese approda allora alla scuola-Telemaco, una scuola orfana, ma che si pone in costante attesa e ricerca attiva del ritorno del Padre che non è né ucciso né dimenticato, ma cercato per la sua assenza. La scuola-Telemaco chiede dunque un nuovo patto di differenziazione tra le generazioni, riconoscendo il debito simbolico verso il Padre; situa al centro il desiderio come ricerca della propria eredità. Nel mito di Telemaco, non ritornerà il padre eroe ed infallibile, ma solo ‘quel che resta del padre’. Allo stesso modo la scuola, più che perseguire l’ideale di un insegnante-padrone che tutto sa e tutto può spiegare e capire, ha bisogno di un insegnante testimone e per questo ‘presente’, che si pone domande e stimola pensieri, che non satura uno spazio chiuso ma apre ad altri mondi. In una relazione vitale in cui chi sta imparando è attivo insieme a chi gli sta insegnando.

 

Abbandonando l’ideale, è il contatto con il reale, con l’imperfezione a lasciare lo spazio per far crescere l’altro. Recalcati riporta a questo punto il racconto di un allievo di Lacan, Safouan, che ipotizza come reagirebbe un insegnante salendo in cattedra ed inciampando. Potrebbe rimproverare irritato le risate degli allievi o far finta di niente ricomponendosi subito, oppure ancora nascondere con impaccio il proprio imbarazzo. L’autore si auspica invece che possa utilizzare quell’inciampo per farne un argomento di lezione, per mostrare ai suoi studenti che anche la sua posizione non è esente da tentennamenti e insicurezze. Solo il riconoscimento di questa condizione umana consente di cercare insieme all’altro nuovi equilibri e scoprire nuovi spazi di pensiero. Una sorta di ‘elogio dell’imperfezione’ di cui Recalcati, con la sua esperienza, si fa testimone e portavoce.

 

Si legge in un passaggio autobiografico e commovente del testo: ‘Allora è giusto quello che ho sentito dire di te’, commentò un suo vecchio professore di filosofia dopo un convegno. ‘Potresti spiegare Lacan anche ai sassi’. L’autore, inorgoglito, pensò che era vero perché provava piacere a ripetere, sminuzzare, ridurre fino all'osso le sue lezioni. Ma il senso profondo di queste parole si scopre in una piccola nota a piè di pagina del libro.

 

‘Ero stato un bambino considerato idiota. Fui bocciato in seconda elementare perché giudicato incapace di apprendere. Quando cerco di insegnare qualcosa, è a lui che mi rivolgo’.

 

“Questo bambino non sopravviverà”, avevano sentenziato i medici quando Recalcati venne al mondo due mesi prima del tempo: secco e fragile come un ramo.

 

Una ‘vite storta’, come fu considerato per molti anni, ma resistente. ‘Andavo lento e ora mi rimproverano di andare fin troppo veloce’, si legge in uno stralcio del libro. Una ‘stortura’ che, se coltivata con cura invece di raddrizzata a qualunque costo, può crescere unica, nella sua singolare bellezza. L’impasse allora si può trasformare in un punto di rilancio.

 

‘Per un’erotica dell’insegnamento’ è il sottotitolo del libro. Ed è proprio nel termine ‘erotica’, inedito per la didattica, che si sente la vita, il cuore che pulsa, il significato profondo del saggio di Recalcati che scrive, ‘non esiste insegnamento senza amore. Ogni maestro che sia degno di questo nome sa muovere l'amore, è profondamente erotico, è in grado di generare quel trasporto che in psicoanalisi chiamiamo transfert’. Allora sì che “un’ora di lezione può cambiare una vita”, se l’insegnante, e l’adulto in genere, si pongono come testimoni dell’erotismo del sapere, della possibilità del risveglio o della scoperta del desiderio, senza il quale non ci può essere un reale apprendimento.

 

Recalcati delinea l’immagine del “bravo maestro” sottolineando il gesto di Socrate nella scena di apertura del Simposio di Platone. Agatone lo vorrebbe vicino a sé per essere ‘riempito’ della sua sapienza, ma il maestro rifiuta il ruolo dicendo: “Io sono vuoto come te e come te desidero sapere”. Il sapere si alimenta di vuoti, non di pieni, ‘il sapere del maestro non è mai ciò che colma la mancanza quanto ciò che la preserva’. Il bravo maestro, continua l’autore, fa anche come il pittore Emilio Vedova che con un colpo di spazzolone intinto nei colori, sporca la tela bianca che blocca l’allievo nel suo atto creativo: perché il bianco non è mai un vuoto, ma un carico fin troppo ingombrante di storia e tradizione.

 

Recalcati, analizzando in chiave psicoanalitica il processo educativo e l’incontro tra insegnante e allievo, riprende e nello stesso tempo approfondisce l’importanza dell’esperienza relazionale per la crescita emotiva e cognitiva dell’individuo. Basti pensare alle primissime relazioni primarie, in cui solo uno sguardo di curiosità, di amore, di desiderio di conoscenza, da parte della madre e del padre, certo non privo di difficoltà e timori, può avviare l’incontro ‘erotico’, unico e vitale con il figlio appena nato. Quest’enfasi sul valore dell’incontro e della relazione è massima nell’ultimo capitolo del libro.

 

In un finale intenso e coinvolgente, Recalcati racconta la sua esperienza scolastica e l’incontro rivitalizzante con Giulia, una professoressa in grado di trasformare ogni sua ora di lezione in un vero e proprio atto d’amore attraverso la sua passione ed il suo desiderio di insegnare. E’ dalla relazione con lei, curiosa di conoscerlo e fiduciosa che il suo allievo potrà farcela a continuare la scuola, che l’autore riesce ad uscire dalla condizione del ‘continuo bocciato’, de “l’idiota di famiglia’, della ‘vite storta’, per scoprire una nuova esistenza attraverso la passione per i libri, corpi ‘erotici’, e per la parola. Un incontro che ha acceso il desiderio nel vuoto perturbante dell’adolescenza.

 

Chissà quanti lettori attraverso questi passaggi rivolgeranno il pensiero, positivo o negativo, ai propri ‘maestri’, ricordandone la particolarità della voce, il suono di alcune parole. Perché, scrive Recalcati, dei professori si può dimenticare il viso o il nome, ma non la voce.

 

L’esperienza di alcuni incontri a scuola lascia una traccia duratura in ciò che si è diventati, in quello che si legge, si pensa e si fa ogni giorno. Recalcati in una lettera d’amore alla sua professoressa Giulia scrive “Sei una presenza che insiste a vivere in meImpossibile continuare senza di te, ma impossibile non continuare senza di te”.

 

Ed ecco che il tono di sconforto e di pessimismo che aleggia intorno alla scuola nella prima parte del libro lascia spazio lentamente alla possibilità e al desiderio di cambiamento. Proprio come accade in un processo analitico, solo attraversando e tollerando vissuti e pensieri negativi si può aprire la strada alla speranza di una trasformazione. Questo, a pensarci bene, è già visibile da un’osservazione più attenta dell’immagine in copertina. Quei bambini in divisa uno dietro l’altro, pur attendendo in fila un qualcosa a cui pare non possano sottrarsi, ‘si muovono’, giocano, sbirciano al di là del compagno. C’è chi lo fa con spavalderia e chi con un certo timore. C’è chi vorrebbe nascondersi per non vedere e chi, in fondo alla fila, si sporge e sorride, quasi beffando il compagno ormai vicino al cucchiaio pieno di olio di merluzzo, ignaro, forse difensivamente, che dopo un po’ toccherà anche a lui.

 

Si può pensare allora che la scuola di ieri, quanto quella di oggi, abbiano dalla loro parte un potenziale che, anche se rallentato e a tratti bloccato, non si può frenare. E’ il potenziale dell’energia, della creatività, della presenza di un inconscio dinamico, dell’attaccamento alla vita dei singoli individui. Di quelli che, come Recalcati, possono ‘resistere’ nonostante qualcuno li avesse dati per ‘spacciati’, in attesa di un’esperienza relazionale che riavvii il movimento. Perché la scuola, come tutte le istituzioni, è composta anche da persone che possono vivificarla con la loro unicità e trasformare i momenti difficili, come quello dell’imposizione di una medicina amara, in un’occasione di crescita, di gioco e di condivisione.

28/05/2016

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