M. Recalcati. Cosa resta del padre? . Recensione di Costanza La Scala

Massimo Recalcati (2011):

Cosa resta del padre? La paternità nell’epoca ipermoderna

 

Raffaello Cortina Editore, Milano, 2011

 

Commento di Costanza La Scala

 

Che cosa resta del padre nella nostra epoca? È questo l’interrogativo al quale Massimo Recalcati cerca di dare risposta, barcamenandosi anch’egli tra ciò che resta dei suoi stessi padri, Sigmund Freud e Jaques Lacan. Viviamo nel tempo dell’evaporazione della figura paterna la quale da pater familias autoritario del secolo scorso si è ridotta all’insipido “papi” dei giorni nostri, comportando anche la degenerazione della Legge simbolica della castrazione e del limite che essa sancisce. Recalcati ci racconta dell’Edipo di oggi e del Laio di ieri, di un lutto del Padre (ben diverso dalla sua distruzione) senza il quale non è possibile alcuna soggettivizzazione, alcuna eredità. “Per servirsi del padre bisogna poterne fare a meno”, afferma commentando le parole di Goethe citate da Freud nel “Compendio di psicoanalisi”. “Ciò che hai ereditato dai padri, riconquistalo, se vuoi possederlo davvero”.

 

L’autore ci propone, in ottica psicoanalitica, anche delle riflessioni sociali e talvolta politiche o teologiche, affrontando temi quali il senso della preghiera, il mito originario di Adamo ed Eva, la Torre di Babele come paradigma della tracotanza umana che tende ad oltrepassare ogni senso del limite, i totalitarismi quali fraintendimenti fatali dell’autentica funzione simbolica del Padre.

 

Colonna portante del pensiero dell’autore è la teorizzazione lacaniana su Legge e desiderio, che si trovano uniti da un comune riferimento all’impossibile: il divieto della “Cosa materna” stabilito dalla Legge della castrazione, che apre la strada al desiderio, divenendo per esso condizione indispensabile e strutturale, non minaccia.

 

Nella nostra epoca il Nome-del-Padre si dissolve e con esso anche i limiti e la funzione simbolica che dovrebbe dare un argine al godimento, lasciando che quest’ultimo trionfi senza fine, incarnato, secondo l’autore, dal discorso del capitalista. Il padre dovrebbe essere colui che sa unire e non opporre il desiderio alla Legge: “Il gioco del desiderio esige un campo strutturato dalla Legge della castrazione, la quale, di conseguenza, proprio in quanto Legge che struttura il desiderio, non è solo la Legge della pura interdizione ma è innanzitutto la Legge come dono della facoltà del desiderio”. Inoltre, perché vi sia desiderio, è necessaria una perdita originaria, una differenziazione, un limite, una distanza dalla “Cosa materna”, sancita dal linguaggio prima che dal padre.

 

Recalcati si distanzia un po’ dal lessico freudiano e rimane più fedele al linguaggio dell’altro suo padre, Lacan, e seguendo il ‘consiglio’ di Goethe, riesce a portarlo ad un alto grado di intellegibilità, rendendo accessibili le sue caratteristiche componenti più impervie e oscure.

 

Ecco quindi che ci spiega i due cardini su cui si basa il discorso del capitalista a parere di Lacan: “La forclusione della castrazione” e “l’esclusione delle ‘cose dell’amore’”. La forclusione della castrazione non lascia spazio al simbolico, tipico della rimozione, ma rigetta il limite e la mancanza, impedendo l’accesso alla possibilità stessa di desiderare. Questo dà il via al godimento debordante, illimitato e distruttivo, tipico del discorso del capitalista, alla pulsione di morte per dirlo con le parole di Freud.

 

L’esclusione delle ‘cose dell’amore’ si riferisce al non volersi avventurare nel campo dell’amore e del rischioso incontro con l’Altro sesso, perché non si accetta di ritrovare nell’Altro qualcosa che si era originariamente perduto. Si preferisce rifiutare tale mancanza e il desiderio che da essa si genererebbe, negando così anche l’esperienza del limite e la conseguente inevitabile dipendenza dall’Altro.

 

Queste due caratteristiche della nostra società spezzano definitivamente l’alleanza tra Legge e desiderio, che è compito della funzione paterna custodire ed incarnare.

 

Il padre al quale fa riferimento l’autore è ciò che resta del grande padre ideale e normativo di una volta, che ha smarrito la sua funzione teologica e ideologica, un padre debole e non più castrante, incapace di vietare il godimento incestuoso. D’altro canto anche i potenti padri del passato erano stati piccoli Edipi e portavano su di sé i segni della propria passata castrazione. A testimonianza di questa ambivalenza interna al concetto freudiano di padre, l’autore ripercorre l’ultimo celebre incontro tra il grande eroe Ettore, Andromaca e il loro figlioletto, e un episodio di umiliazione subito dal padre di Freud e da quest’ultimo raccontato nell’”Interpretazione dei sogni”. La sequenza di queste due scene permette all’autore di compiere il passaggio dall’ineguagliabile, mitico, Padre Ideale, al più umano padre castrato, espressione della miseria umana che inevitabilmente accompagna ogni figura paterna. Oggi sembra che i padri o facciano molta più fatica a castrare simbolicamente e ad imporre la propria Legge, e questa assenza di limiti ha determinato un cambiamento nella società ipermoderna. Oggi assistiamo all’evaporazione della figura paterna come ideale.

 

Nella rivisitazione lacaniana del mito di Edipo, nel secondo tempo dell’Edipo, il padre ha il compito di spezzare l’illusione fallica che, nel primo tempo, tiene uniti madre e figlio, ciascuno dei quali riempie la mancanza originaria dell’altro e rimane al suo servizio sessuale; lo fa vietando a lei di divorare il loro frutto e al piccolo di tornare da dove è venuto. Il “No” del monito paterno spezza traumaticamente la seduttività narcisistica della coppia madre-bambino e l’illusione della continuità tra l’Uno e l’Altro. Qualcosa in questo distacco viene irreversibilmente perduto, rimane solo un anelito ad esso, alla base della nascente capacità di desiderare. Tuttavia Lacan riconosce che la funzione paterna non può esaurirsi nell’esercizio dell’interdizione, perché se così fosse non sarebbe possibile la trasmissione del dono del desiderio. Ecco quindi la sua teorizzazione sul terzo tempo dell’Edipo, dove il padre oltre a promulgare la Legge lascia passare anche il dono, la promessa e la fede: il diritto di desiderare un proprio desiderio. Questo è un padre pienamente umanizzato, non solo padre traumatico e castrante, è un padre che sa trasmettere il testimone del desiderio. È qui che Recalcati riesce a spingersi più vicino alla risposta alla domanda presente nel titolo del libro: “ciò che resta è il padre come vivente, come incarnazione singolare del desiderio nella sua alleanza con la Legge, testimonianza particolare di come si possano tenere uniti Legge e desiderio”. Tale testimonianza non può vantare modelli esemplari o universali, essa non dice cos’è in essenza il desiderio, ma mostra un modo in cui può aver luogo un’esistenza del desiderio, cosa significhi l’atto singolare del proprio desiderare. Il padre inoltre è custode di un vuoto, di un non sapere: egli non ha una risposta per tutto, sa di non poter accedere al mistero della vita, è in contatto con questa sua mancanza originaria, che però diventa anche forza motrice della trasmissione del desiderio: “un padre non è colui che sostiene l’illusione che un sapere universale sulla vita possa esistere, ma è colui che risponde a questo buco, a questo vuoto della struttura, con l’atto singolare del proprio desiderio” .

 

Un’altra caratteristica che sta prendendo piede nelle famiglie dell’epoca ipermoderna è l’assenza di conflitto che porta all’omogeneità generazionale. L’autore sottolinea l’importanza che ha il conflitto nella separazione, nella crescita e nella formazione individuale e lo differenzia dalla violenza che produce solo distruzione e degenerazione. I figli hanno bisogno di genitori in grado di sopportare il conflitto e quindi di saper rappresentare solidamente la differenza generazionale senza fare la fine del povero Laio. Anche Freud aveva sottolineato l’importanza della consapevolezza della differenza generazionale, che insieme a quella della differenza dei sessi, rappresentano due grandi conquiste a cui conduce il complesso di Edipo.

 

La seconda parte del libro è dedicata ad una serie di testimonianze su quel che resta del padre in diverse situazioni: Philip Roth nel suo libro autobiografico “Patrimonio”, Cormac McCarthy in “La Strada”, e Clint Eastwood in “Million Dollar Baby” e in “Gran Torino”, ci propongono delle visioni della paternità totalmente sganciate dalla dimensione teologica e normativa promulgata dallo stesso Freud, che, ciascuna a modo suo, esemplificano chiaramente i concetti trattati dall’autore nella prima parte del libro.

 

 

12/10/2012

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