Il tempo dell'orizzonte corto. Commento di S. Messeca

 

Il tempo dell’orizzonte corto

di M. Luisa Algini

 

 

Commento di Susanna Messeca

Questo libro parla dell’amore e del lutto, partendo dall’ esperienza personale  dell’Autrice relativa alla perdita del marito. Non è un libro di psicoanalisi, ma nella ricerca di un nome da dare ai suoi sentimenti, l’A. utilizza il pensiero di Freud, quasi come un bastone da cieco, come per orientarsi nello strano paesaggio della malattia e della morte che ha sconvolto la sua vita. Assistiamo da vicino alla trasformazione della sua esperienza emotiva, muta per la sua intensità, in una narrazione. Le parole e le immagini che le vengono in soccorso non provengono dal linguaggio psicoanalitico, ma dai linguaggi evocativi della letteratura, della poesia e dell’arte.

Il racconto inizia dalla diagnosi, messa a punto dai medici molto lentamente, di “tumore al polmone”; dalla lunga attesa del verdetto, tra speranze di poter minimizzare e spaventosi presagi. Subentra poi l’angoscia di decidere se dire la verità al malato; infine la scelta di condividerla con lui, guidata dall’intuizione che il portare insieme il peso di questa esperienza possa alleggerire la sofferenza di entrambi. La loro relazione infatti ne risulta rafforzata. Nessun conforto deriva dalla proposta delle cosiddette cure palliative, dietro le quali si nasconde solo un commercio del dolore. La proposta di un intervento chirurgico viene accolta con sollievo, nella speranza, forse folle, che possa tagliar via il male.

Il tema centrale del racconto sembra quello del cambiamento brusco nella percezione del tempo: nel caso di una minaccia così concreta di morte  alla certezza abituale di un tempo dell’orizzonte lungo, si sovrappone all’improvviso un tempo dell’orizzonte corto  che costringe a un impegno costante della mente, a vivere più intensamente possibile, per non perdere niente del poco che resta della vita.  L’orizzonte si restringe, nella costante incertezza del domani.

Si riaccende tra loro la passione che sempre li aveva uniti. Ma lei comincia a percepire quanto le costi accettare il rapido cambiamento del corpo di lui, che va deteriorandosi. Scopre in lui tuttavia, con ammirazione, un’imprevista capacità di accettare il male, e di accettare meglio di lei questo orizzonte corto del tempo.

Dopo la morte si accorge, come spesso a tutti accade, di cercare negli oggetti e nei vestiti che erano appartenuti a lui tracce della sua presenza, quasi che sia possibile il miracolo della sua ricomparsa.

Ma gradualmente l’A. si rende conto della rabbia per la perdita della persona amata, che comporta la perdita dello specchio che le restituiva il suo volto; un buco incancellabile nella vita, una rottura nel tessuto della relazione.

Il lavoro del lutto comporta l’intuizione della realtà della morte anche per sé stessi, intuizione che potenti difese tentano di annientare: la tendenza a svalutare il dolore o a negarlo per fuggire da angosce che si teme di non poter sostenere. Quando diviene possibile viverlo si comincia a familiarizzare con la solitudine, ad accettare i fantasmi che ci abitano, con la consapevolezza dell’ineluttabilità della morte, anche della propria.

Elaborare il lutto significa giungere ad accettare questa lacuna nella propria personalità, ricostruire un paesaggio distrutto come da una guerra o da un’invasione straniera, utilizzando le rovine del paesaggio precedente. È solo allora che se ne può parlare.

Trova risonanza nel lutto di Primo Levi che al ritorno da Auschwitz sentiva quanto sarebbe stato difficile raccontare della sua esperienza di morte a chi non l’aveva condivisa con lui.

Le sembra di vedere nelle opere di alcuni artisti figurativi - come Chagall, dopo la perdita della sua compagna - la possibilità di esprimere questo cambiamento nella percezione del tempo che ha chiamato tempo dell’orizzonte corto. Da un lato si cerca di fermare il tempo, come per impedire ulteriori sofferenze, ma ci si rende conto che cedere a questo impulso porterebbe all’assenza di vita o alla paralisi per congelamento.

Qui emerge il ricordo di coloro che tornavano dalla Russia, in relazione a questo congelarsi della mente: allo stesso modo delle loro mani e piedi anche i loro pensieri, i loro ricordi erano congelati.

Tuttavia a queste immagini del gelo come immagine della morte si associano quelle dei germogli che nascono sotto la neve: l’A. sente che anche un’esperienza traumatica come la sua è potenzialmente un germoglio di nuova vita. Ci comunica in sintesi la graduale consapevolezza, provocata dal dolore, riguardo alle continue trasformazioni che la vita comporta.

L’orizzonte corto del lutto non è solo il restringersi del tempo, ma una profondità nuova prima mai pensata.

Qualche tempo dopo, in un viaggio in Tibet, dove era già stata anni prima con suo marito, sente di poter rivivere con gratitudine le esperienze vissute insieme, di poterlo perdonare per essersene andato

Considera anche, nonostante tutto, che questa esperienza dolorosa di morte ha rappresentato per lei una lezione di vita da non dimenticare.

18/02/2022

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