Alexander Mitscherlich, Verso una società senza padre. Commento di Simona Falanga

Alexander Mitscherlich

 

 Verso una società senza padre

 

Feltrinelli, Milano, 1970.

 

 

 

Commento  di Simona Falanga

 

“Non saprei indicare un bisogno infantile di intensità pari

 

al bisogno che i bambini hanno di essere protetti dal padre”

 

S.Freud (1929) Il disagio della civiltà

 

Nel 1963, Alexander Mitscherlich, medico e psicoanalista tedesco, direttore dal 1967 dell’Istituto Freud di Francoforte, scrisse “Verso una società senza padre”, testo ancora attuale dopo mezzo secolo.

 

L'autore, attraverso un'analisi sociologica e psicoanalitica, faceva i conti con la storia novecentesca della Germania e dell'Europa, contrapponendo alle esperienze autoritarie del nazismo e del socialismo la spinta antiautoritaria che cominciava a crescere all'inizio degli anni sessanta e mettendo in luce l’avviarsi delle diverse società verso organizzazioni prive di gerarchie che chiamerà “società senza padre”.

 

Mitscherlich si domandava: “Quale aspetto assumerà una società che non è retta da un padre mitico e dai suoi rappresentanti terreni? Quale aspetto assumerà una società senza padri? Come ritrovare l'autorevolezza?”

 

Aveva infatti ben presente il rischio che insieme alla giusta reazione a modelli politici di paternalismo autoritario si profilasse anche la realtà di un'infanzia senza padri, di una gioventù priva di un modello paterno autorevole, cosa che secondo Mitscherlich non poteva che compromettere l'evoluzione dell'individuo. La società senza padre riguardava, infatti, la fine di un principio gerarchico ma anche di un modello di autorità identificato nel simbolico paterno con connotazioni affettive.

 

Ciò che Mitscherlich mette in evidenza è che “la società senza padre” non è una società in cui c'è un conflitto con il padre, ma una società in cui c'è una totale svalutazione del padre, nessun investimento o carica affettiva.  Ne consegue una impossibilità a superare i conflitti di ambivalenza, la rivalità, le tensioni affettive, rendendo difficile il procedere attraverso processi identificatori evolutivi e determinando un persistente senso di frustrazione che accrescerebbe la tensione aggressiva.

 

Al modello patriarcale si è sostituito, secondo l'autore, un modello “fatriarcale” regolato non dalla gerarchia rispetto al padre ma da una competitività orizzontale esasperata tipica dei fratelli dove “il conflitto principale non è caratterizzato dalla rivalità edipica, che contende al padre i privilegi del potere e della libertà, ma dall’invidia fraterna verso il vicino, il concorrente che ha avuto di più”.

 

Mitscherlich mette in evidenza come la presa di distanza da modelli patriarcali e autoritari non ha lasciato il posto ad un sistema fraterno e pacificato ma ad una gestione del potere incapace di reinventare nuove forme di autorevolezza e riconoscimento. Sempre Mitscherlich afferma che  “la nostra società, oggi in preda ad una crisi di autorità tende a sopprimere la figura paterna piuttosto che a modificarne l'immagine e il ruolo.”

 

L'autore arriva a queste conclusioni dopo una analisi psicosociologica sulla formazione dell'individuo. Mitscherlich, infatti, mette in evidenza che l'uomo non “è” ma “diventa”; l'uomo è l'unico degli animali che nasce non sapendo per istinto come amare, come difendersi e come organizzare i propri affetti e le proprie relazioni. Per questo motivo la trasmissione tra generazioni è così importante tanto quanto il fatto di continuare ad imparare sugli uomini e sul mondo, cosa che gli consente di avvicinarsi anche alla verità su se stesso.

 

L'autore opera un parallelismo tra la crescita e i cambiamenti delle società e lo sviluppo dell'individuo e afferma che “i vecchi stati che finora erano riusciti a imporre soluzioni imperialistiche, si trovano oggi di fronte a questo grande numero di stati di nuova formazione che lottano contro gli stati imperialistici con la stessa debole autorità di tanti genitori che non riescono a stabilire un contatto con i loro figli adolescenti. Le crisi di sviluppo di certe collettività sono paragonabili a quelle dell'adolescenza e appaiono tanto più pericolose in quanto nel periodo precedente alla conquista violenta dell'autonomia l'ambivalenza non è stata né integrata né organizzata all'interno in nuove norme e idee-guida”.

 

Il conflitto non risolto della società sempre più tecnicizzata, risiede, secondo l'autore, nella contraddizione tra l'aspirazione all'autonomia soggettiva nelle scelte fondamentali della vita e la necessità di movimento all'interno di organizzazioni superburocratiche; questo comporta una limitazione sempre più settoriale della responsabilità mentre d'altra parte vengono avanzate pretese spesso esagerate all'assistenza sociale.

 

Se nel passato l'uomo ha proiettato le sue responsabilità individuali su un dio antropomorfo, oggi, con le scoperte scientifiche, la scienza e le teorie evoluzionistiche ci si è trovati a fare i conti con la responsabilità, la coscienza e la libertà.

 

Mitscherlich si domanda quale forme assumerà l'umanità quando non avrà più la possibilità di proiettare i propri ordinamenti specifici di gruppo su un piano organizzativo universale: in una società meno repressiva, meno guidata dal pensiero magico ma più capace di integrazione, più cosciente, l'autorità chiamata ad imporre il codice di comportamento assumerà una nuova funzione difficile da concepirsi.

 

Nelle strutture sociali che poggiavano sul pensiero magico, la parte istintuale del comportamento veniva ritualizzata e riassorbita nella tradizione. Nella società di massa, tecnicizzata e razionalizzata, la vita quotidiana lavorativa, che si fonda sul funzionamento regolabile e prevedibile di un complesso meccanismo, è rigorosamente divisa dalla vita privata e non consente la risoluzione e l'elaborazione dei conflitti; Mitscherlich si domanda se la vita istintuale ed emotiva possa trovare il giusto modo di esprimersi quando non viene conosciuta e compresa ma viene bloccata all'interno di una morale basata sulla rinuncia e sulle norme.

 

La strada da percorrere, secondo l'autore, è quella verso una educazione in cui il registro paterno possa esser tradotto nell'esercizio di una coscienza critica nel quadro di una società che tende ad una organizzazione paritaria e fraterna. Ciò si può ottenere se nella coscienza collettiva la natura istintiva non sia più considerata sotto il segno della vergogna e se, per educarla, non si ricorra alla repressione; sarà un'educazione basata non sulla rinuncia imposta dalla miseria né sulla repressione delle forze istintuali ma si baserà sul riconoscimento della realtà dell'uomo come individuo.

 

“Quando diventa possibile la conoscenza si avvia la comprensione della natura istintuale che esclude l'idealizzazione di sé propria di colui che si illude di essere libero dall'istinto attribuendo ai desideri istintuali un carattere di bassezza”.

 

D'altra parte la cultura attuale sembra dimostrare poca comprensione per la realtà istintuale: ora provoca reazioni infantili di difesa, ora stimola e approva il soddisfacimento dei desideri più primitivi.

 

È dunque indispensabile elaborare un nuovo stile di educazione che dedichi tutte le sue cure ai “bisogni dell'Io” sin dai primi momenti del processo di maturazione dell'uomo.

 

I rapidi progressi delle scoperte scientifiche, le trasformazioni delle strutture di potere e gli sconvolgimenti sociali provocano un senso generale di paura. Altrettanto inquietante è la progressiva scomparsa di modelli ben chiari e validi. L'io, sede della paura, deve essere molto forte per affrontare queste nuove fonti di angoscia e per sviluppare un atteggiamento attivo piuttosto che regressivo-passivo e incolpare le condizioni sociali.

 

La concezione alternativa consiste in un'educazione più ricca che contribuisca alla creazione spontanea di norme a tutti i livelli e porti all'integrazione sociale mediante accordi stabiliti: quest'idea ha come premessa la modificazione del sé e del sentimento di responsabilità di ogni membro del gruppo.

 

Tradotta in formula psicodinamica significherebbe: riduzione del potere dittatoriale del Super-io nei confronti del quale l'Io svolge il ruolo di docile esecutore di ordini; rafforzamento delle prestazioni dell'Io, tanto nel controllo delle pulsioni istintuali e dei sentimenti che ne derivano, quanto riguardo alla capacità di affrontare le esigenze del mondo circostante, senza essere costretto a un'obbedienza cieca ai suoi tabù. Tutto ciò si fonda necessariamente su una educazione all'autonomia; in questo senso autonomia significa anche capacità di immedesimarsi coi sentimenti dell'altro, invece di riconoscerlo essenzialmente dalle caratteristiche esterne del ruolo che ricopre.

03/04/2013

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