Abram Kardiner “Una piccola nevrosi". Commento di Piera Ricciardi

Abram Kardiner “Una piccola nevrosi. Reminiscenze di un’analisi con Freud”

 

Sesamo Editrice Roma, 1977

 

Commento di Piera Ricciardi

 

 

 

 

 

Abram Kardiner (New York, 1891 – Connecticut, 1981), psicoanalista statunitense allievo di Freud, ha contribuito alla fondazione dell’Istituto Psicoanalitico di New York e successivamente della Scuola di Psicoanalisi presso la facoltà di Medicina della Columbia University. Dopo essersi laureato in medicina alla Cornell University si è avvicinato al campo della psichiatria grazie a Horace W. Frink, uno dei primi psicoanalisti americani, iniziando con lui una prima analisi, che ha rappresentato il punto di partenza della sua “storia psicoanalitica”.

 

Questo piccolo volume fa parte di una più ampia biografia dell’Autore e rappresenta un importante documento incentrato sulle reminiscenze del dottor Abram Kardiner  circa la sua analisi personale con Sigmund Freud. Il libro è stato pubblicato nel 1977, periodo in cui una storia analitica come questa che l’Autore ci propone, rappresentava un contributo rilevante rispetto all’impegno volto al recupero e alla ricostruzione della figura di Freud come uomo e come maestro. Il testo, infatti, oltre ad essere una testimonianza soggettiva, basata sul ricordo di vissuti personali, ruota intorno alla figura di Freud come psicoanalista al lavoro nel 1921.

 

Il contenuto del volume introduce il lettore nell’atmosfera psicoanalitica dell’epoca, con le reminiscenze di Kardiner dei suoi vissuti personali  fortemente legate ad un particolare sfondo storico in cui le nuove ideologie politiche avevano influenzato la vita e le aspirazioni degli uomini. Kardiner ricorda come nel contesto dei primi anni venti si cominciò a riconoscere il “carattere” come un fattore decisivo per il successo o il fallimento personale e la “nevrosi” iniziò ad avere un sempre più forte rilievo sociale.

 

Le dinamiche sociali interessarono molto Kardiner, influenzando anche il suo percorso formativo successivo, tanto che, nonostante il suo training di psicoanalisi clinica fosse stato il suo punto di partenza, egli condusse anche studi antropologici che in una fase più matura della sua vita integrò all’approccio psicoanalitico.

 

Il training di psicoanalisi clinica di Kardiner iniziò grazie ad Horace W. Frink che lo indirizzò da Freud a Vienna nel 1921. I capitoli del libro si snodano intorno alle memorie personali che dopo cinquantacinque anni Kardiner rivisita, ricordando l’analisi con Freud come una delle esperienze culminanti della sua vita.

 

Il primo capitolo è incentrato sull’emozionante incontro tra il Maestro e il giovane allievo americano, preceduto da una lettera che nell’aprile del 1921 Kardiner ricevette da parte di Freud, in cui  gli comunicava di averlo accettato in analisi. Qualche mese dopo Kardiner iniziò quindi un’analisi personale con Freud che durò sei mesi con una frequenza di cinque sedute a settimana, limiti prefissati da Freud stesso prima dell’inizio. Al primo incontro tra i due seguì un’intervista preliminare, in cui Freud chiese a Kardiner un suo profilo biografico. L’Autore ripercorre queste prime fasi del suo arrivo a Vienna, e attraverso una descrizione dettagliata, ricca di particolari, ci introduce nell’appartamento di Freud, facendo immaginare al lettore il percorso che egli, giovane allievo trentenne, percorreva fino ad arrivare nella stanza con il lettino. Particolarmente interessante è il rievocare il setting che all’epoca caratterizzava l’analisi con Freud.

 

Il capitolo successivo è una sintesi dell’intensa e breve analisi dell’Autore. La prima seduta viene ricordata con la forte aspettativa e la totale fiducia in Freud da parte di Kardiner. Con questa premessa, l’Autore ripercorre le vicende della sua vita, facendo immergere il lettore nella sua storia personale, soffermandosi particolarmente sulla sua infanzia difficile, segnata dalla perdita prematura della propria madre.  L’Autore, figlio di immigrati ucraini ebrei, nel ripercorrere quei primi anni della sua vita, descrive un periodo buio, con i ricordi di frammenti di vita che fanno emergere l’immagine di un bambino abbandonato a sé stesso,  in un ambiente privo di struttura e in seguito caratterizzato da una cornice di obbedienza e dipendenza.

 

Al di fuori del suo nucleo familiare, Kardiner visse in nell’ambiente culturale ebraico, caratterizzato dal vivace movimento politico che si batteva per i diritti dei lavoratori, e dalla realizzazione dei primi servizi sociali, con un accento molto forte sulla morale personale e sociale e sull’investimento negli ideali culturali.

 

Seguono i ricordi dell’adolescenza e dell’inizio dell’Università, anni in cui Kardiner visse la sua prima intensa, ma burrascosa, relazione sentimentale. Dopo essersi laureato in medicina, si avvicinò alla psichiatria grazie alla lettura di un testo di H. W. Frink, “Fobie e Coazioni”. Kardiner si sentì subito coinvolto da questa nuova disciplina, incontrò di persona Frink e iniziò con lui un’analisi, al fine di entrare in questo nuovo campo di studi. Quello che ricorda di questa esperienza è la sensazione di essersi sentito scosso e impaurito, come se avesse dovuto proteggersi da qualcosa di sconosciuto, in  un atmosfera di colpa e resistenza. A posteriori Kardiner rifletterà sul fatto che ciò che lo terrorizzava allora era la possibilità di coltivare dentro di sé idee di cui non aveva alcuna consapevolezza, come il desiderio della morte del padre, che emerse da un’interpretazione di Frink. A questo punto dell’analisi si inserirono i primi interventi e le prime osservazioni di Freud, che fecero sentire Kardiner molto incoraggiato.  Freud, ad esempio, chiarì a Kardiner il conflitto in cui era sfociata la precedente analisi con Frink, la quale avendo messo in evidenza le sue latenti ansie di abbandono e la sua incapacità di imporsi con suo padre, produsse in lui una “piccola nevrosi”. Da qui si aprì la strada dell’analisi delle relazioni infantili con il proprio padre e solo molti anni dopo Kardiner si rese conto che  l’errore fondamentale che Freud commise fu quello di non aver riconosciuto il transfert, rendendo  l’analisi una mera ricostruzione storica. Freud aveva trascurato il fatto che i sentimenti di paura di Kardiner provati nei confronti del proprio padre nella sua infanzia, erano rivissuti ora nei suoi confronti. Da Freud infatti dipendeva il suo destino da psicoanalista, e quindi tutta la sua carriera professionale. Questo è un tema di particolare interesse e quanto mai attuale se ci si sofferma sulla questione delle analisi personali degli  aspiranti analisti in training ancora oggi.

 

 Rispetto alla tecnica analitica che all’epoca Freud adottava, l’Autore ricorda che dal confronto con gli altri allievi ebbe  modo di appurare come il complesso di Edipo e il concetto di  omosessualità inconscia fossero delle costanti dell’analisi di ognuno.

 

 Dopo sei  mesi di analisi, un mese prima dalla fine, Freud annunciò a Kardiner che il primo aprile la sua analisi sarebbe terminata. Solo anni dopo Kardiner ebbe modo di scoprire che in quel periodo Freud aveva inviato una lettera a Frink in cui scriveva: “l’analisi di K è completa e ben risolta. Dovrebbe avere una brillante carriera”.

 

Kardiner nel terzo capitolo ci offre una interessante descrizione di Freud come analista, mettendo in luce punti deboli e punti di forza. A questo proposito viene ricordata un’autocritica di Freud circa sé stesso: “Ho alcuni handicap che mi impediscono di essere un grande analista. Uno di essi è che sono troppo padre”.

 

L’Autore descrive Freud come brillante nell’interpretare i sogni, con un grande intuito nel dare un senso alle libere associazioni. Freud a volte si lasciava andare a qualche confidenza rispetto ad altri psicoanalisti, come Adler, Stekel, Obendorf. Emerge quindi come con Kardiner durante l’analisi avvenivano vari scambi a livello personale, che misero in luce la personalità di Freud. Vengono riportati episodi e aneddoti della vita quotidiana di quel periodo che testimoniano diversi aspetti della personalità di Freud. Kardiner lo ricorda come un uomo affascinante, pieno di spirito e molto colto, ma allo stesso tempo anche modesto, con un atteggiamento spontaneo e del tutto naturale. Egli, però, pretendeva dai suoi seguaci una  fedeltà assoluta, e non sopportava chi  contrastava le sue idee. Era, inoltre, molto preoccupato per il futuro della psicoanalisi, e quello che principalmente temeva era che essa sarebbe entrata nella storia come una scienza ebraica, in virtù del fatto che la maggior parte dei suoi seguaci erano ebrei.

 

Il capitolo successivo, “Freud e il movimento psicoanalitico”, offre uno sguardo al rilancio e alla revisione della Società Psicoanalitica di New York di quegli anni, revisione di cui venne incaricato Frink. I primi anni del movimento psicoanalitico furono caratterizzati dalla rigida divisione in gruppi  in base all’appartenenza geografica. Kardiner ricorda che il gruppo americano e quello inglese erano isolati da un invalicabile abisso di casta sociale che li teneva a distanza dal gruppo più numeroso, quello viennese.

 

All’epoca  il training analitico consisteva solo nella propria analisi personale e fu proprio in quegli anni in cui Kardiner soggiornò a Vienna che vennero istituiti i primi seminari didattici di psicoanalisi che vertevano su argomenti teorici che si stavano sviluppando in quel periodo, come i nuovi contributi alla teoria della libido ad opera di Abraham. L’Autore ricorda gli accesi dibattiti che avevano luogo  nelle riunioni della Società Psicoanalitica di Vienna, occasioni in cui Freud mostrava il suo grande ascendente sulle persone e la grande padronanza della sua disciplina.

 

Il quinto capitolo,“Vienna, al di là del divano”, è tutto incentrato sul soggiorno viennese di Kardiner, sul trascorrere delle sue giornate e del suo tempo quando non era con Freud.  Affiora l’immagine di una Vienna antisemita e diffidente, in cui lo stesso Kardiner visse diverse situazioni in cui veniva tenuto a distanza per il fatto di essere ebreo e  americano.  La maggior parte della sua vita sociale veniva vissuta nei quotidiani incontri ai caffè con gli altri allievi analisti.

 

Nel capitolo successivo, Kardiner rivede la sua analisi dal 1976, descrivendola a posteriori come una prestazione brillante, veloce e precisa. Fu soprattutto l’interpretazione dei sogni di Freud che lo liberarono dalla resistenza all’analisi che aveva acquisito con  Frink.

 

Le sue esperienze di vita, relative ad un ambiente che gli era stato ostile, gli servirono da stimolo e lo condussero, nella sua carriera professionale, verso particolari e originali linee di ricerca, come quella  sullo stress ambientale nelle nevrosi traumatiche di guerra e quella relativa allo studio di culture diverse. Tutto questo fu possibile grazie all’analisi che aveva rivelato quanto egli fosse stato influenzato da tali esperienze infantili.

 

Nel settimo capitolo Kardiner si sofferma sul ricordo degli anni successivi all’analisi con Freud, quando negli anni trenta, rientrato in America, contribuì alla fondazione dell’Istituto Psicoanalitico di New York, la prima scuola di didattica psicoanalitica negli Stati Uniti.

 

È in questo periodo che iniziò l’esercizio della sua professione, trovandosi alle prese con i suoi primi casi, che si rivelarono dei veri e propri fallimenti.

 

Kardiner si avvicinò anche alle scienze sociali e agli studi antropologici, interessandosi allo studio di alcune culture primitive e all’influenza che i cambiamenti culturali esercitano sull’individuo. Egli  sentiva di trovarsi in un nuovo ambito di ricerca e che a quel punto della storia psicoanalitica era necessario introdurre alcune innovazioni nella teoria.

 

Interessante è l’accenno alla ricerca etnografica sulla cultura Alorese, incentrata sull’abbandono della madre come un fatto istituzionale e su una rigida divisione del lavoro, fattori che rendevano il  mondo degli Alor come un luogo eternamente traumatico. Kardiner tentò un connubio tra la psicoanalisi e le scienze sociali, arrivando alla concezione che le istituzioni sociali lasciano una traccia indelebile sulla personalità umana.

 

Il libro si conclude con il bilancio di Kardiner dopo cinquantacinque anni con la psicoanalisi. Quando l’Autore scrisse questo testo, alla fine degli anni settanta, il successo della psicoanalisi era attribuibile ad alcuni precisi fattori:

 

-       Un nuovo interesse per l’essere umano come conseguenza della società industriale

 

-       La legittimazione di  ogni rivendicazione volta a perseguire il benessere e la felicità

 

-       Le pretese di maggiore libertà sessuale.

 

Tra gli anni ’20 e gli anni ’50 la psicoanalisi prese piede negli Stati Uniti e suscitò grandi aspettative come mezzo terapeutico. Verso gli anni ’60 si arrivò ad una certa disillusione: “la psicoanalisi aveva promesso più di quanto potesse mantenere”. Come Kardiner ricorda, i tentativi di introdurre innovazioni venivano scoraggiati dai “Guardiani dell’Ortodossia”, che avevano come unico obiettivo quello di congelare la psicoanalisi nella forma esistente, al fine di conservare il proprio potere e la propria influenza. Kardiner ravvisa allora il pericolo di incorrere in un indottrinamento riferito ad un dogma religioso, ricordandoci che ogni scienza che interrompe il proprio processo di sviluppo tende a somigliare ad un culto.

 

Il pensiero che Kardiner ci offre a conclusione del suo libro è quello di credere che la psicoanalisi può avere solo un futuro, quello di una disciplina scientifica basata su osservazioni empiriche e controllabili, e a questo proposito offre dei suggerimenti:

 

- La necessità di non limitarsi a studiare l’essere umano dal divano, rischiando di ridurre lo

 

  sviluppo umano ad una ricostruzione retrospettiva

 

- La necessità del  confronto tra culture diverse

 

- Lo studio dei modelli di adattamento sociale

 

Un ultima riflessione è quella sul rigore scientifico, per cui Kardiner ravvisa che la psicoanalisi si è assunta una precisa responsabilità: “dovremo guadagnarci la fiducia del pubblico, senza vendere speranze, ma allo stesso modo in cui se la sono guadagnata i fisici e i chimici”.

20/01/2014

Centri Clinici AIPPI

I Centri Clinici AIPPI offrono, a costi contenuti, consultazioni e percorsi psicoterapeutici ad indirizzo psicoanalitico per bambini in età pre-scolare, scolare, adolescenti con lievi o gravi difficoltà nella sfera emotiva e relazionale e per genitori che si trovano ad affrontare problematiche di coppia e/o legate al rapporto con i figli.

I Centri Clinici offrono consulenze a professionisti impegnati nel lavoro con i bambini ed adolescenti e nelle professioni di aiuto. Contatta il Centro clinico AIPPI più vicino a te (Milano, Pescara, Roma, Napoli) per saperne di più e per fissare il primo colloquio.

Informativa sull'uso dei Cookies

Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie.OK