AA.VV. Il doppio setting: il lavoro psicoanalitico con il bambino e i suoi genitori. Commento di Sara Farese (03.02.2015)

 

Il doppio setting: il lavoro psicoanalitico con il bambino e i suoi genitori. Commento di Sara Farese (03.02.2015)

 

In: Giuliana L. Milana (a cura di ) Processo analitico e dinamiche familiari. Franco Angeli, Milano, 2014

 

Ascione, C. Guerriera, L. Landi, M.A. Lucariello, E. Miele, F. Vecchione, E. Zullo


Commento di Sara Farese

Il capitolo “Il doppio setting: il lavoro psicoanalitico con il bambino e i suoi genitori” apre una riflessione relativa alla conduzione della terapia dei genitori e del bambino da parte dello stesso terapeuta, modalità che le autrici denominano “doppio setting”. Tale modello si contrappone a quello finora prevalentemente adottato, che prevede tre o quattro incontri con i genitori  durante l'anno e, se necessario, l’invio dei genitori ad un altro terapeuta. In questo caso si parla di “setting parallelo”, secondo la formulazione di Margareth Rustin. La stessa Rustin non escludeva, tuttavia, che fosse lo stesso terapeuta del bambino ad occuparsi dei genitori allorché questi si rivelano molto riluttanti a vedere un altro terapeuta o quando il bambino è psicotico o autistico e i genitori preferiscono mantenere uno stretto contatto con il terapeuta del figlio.

 

A parere delle autrici, tale modello,  che comporta l’interiorizzazione di confini ben fermi, è esposto al rischio, di sconfinare nella rigidità, tanto più che la pratica clinica lascia frequentemente emergere la necessità di seguire con incontri a cadenza mensile o quindicinale i genitori del bambino in trattamento. Tali cambiamenti sembrano loro auspicabili quando nella prassi clinica la correlazione tra la fenomenologia clinica presentata dal paziente e le problematiche dei genitori, lascia emergere l'utilità di un lavoro terapeutico sul duplice fronte, genitori-bambino, come un fiume che pur avendo due sponde è pur sempre un unico corso d’acqua.

 

I riferimenti teorici che guidano le autrici si richiamano alla teoria delle relazioni oggettuali e agli studi sulla gruppalità e sulla pulsionalità ad opera di Pontalis, Anzieu, Kaes, Bejarano, Missenard e Bion, autori che pongono come centrale  un setting che poggia e trae luce dalla complessità ineludibile della dimensione inconscia del gruppo.

 

Accade così che nel setting con la coppia di genitori, il terapeuta può più facilmente cogliere la scissione del transfert sia su oggetti reali sia su un oggetto evocato, come teorizzato da Béjarano, autore che rintraccia nei gruppi analitici la scissione del transfert su quattro oggetti transferali: tre oggetti interni al gruppo (l’analista, gli altri partecipanti, l’insieme del gruppo) ed un oggetto esterno (transfert sul mondo esterno). Secondo l’autore, la qualità e la dinamica transferale consentono di individuare nel gruppo la posizione persecutoria, quella depressiva, la difesa maniacale e quella isterica.




Sulla base del ricco materiale clinico presentato, rivelatore della prematura e massiccia impotenza vissuta dal bambino in una fase arcaica dello sviluppo, le autrici presentano, nella seconda parte del lavoro, tre indicatori sulla base dei quali è, a loro parere, opportuno optare la scelta del “doppio setting”.


Il primo è relativo alle situazioni in cui tutto lascia presumere una massiccia impotenza del bambino in una fase arcaica del suo sviluppo, che si  sia cioè davanti alla “catastrofe mentale primitiva”, quale concettualizzata  da Bion, connessa ad una modalità di funzionamento di pensiero che evidenzia una difficoltà nel legame K., esemplificata nell'espressione “Nessuno ti conosce meglio di me, che sono tua madre, perché siamo una cosa sola”. Il secondo fa riferimento al fallimento totale o parziale del processo di interiorizzazione della coppia creativa.  L’indicatore può tradursi nel concetto semplificato “Nessun padre, nessun marito”, una condizione mentale che rivela un  funzionamento preedipico all’insegna di una “comunanza di diniego”, nozione proposta da Fain e poi ripresa da Kaës. Il terzo indicatore si ha quando nella storia dei genitori si riscontra una situazione traumatica non sufficientemente elaborata. La situazione traumatica del passato, rimasta rigida e fissa nel tempo, non segna un prima e un dopo, ma colloca l’esperienza traumatica fuori dal tempo. Il concetto esemplificato dalla frase “Chi è quell’uomo col cappello?” è relativo ad un caso clinico, in cui l’evento traumatico è stato rivissuto dal  bambino che improvvisamente, una mattina, indicando un punto della stanza e chiedendo  alla madre “Chi è quell’uomo col cappello?”, aveva cominciato a gridare terrorizzato e a farneticare di serpenti che strisciavano sul pavimento di casa.


Il modello a doppio setting, che le autrici propongono, va a collocarsi nel crocevia tra transfert e controtransfert multipli che prevede che un’unica mente, quella del terapeuta, sia chiamata a dare accoglimento agli aspetti scissi nei vari membri della famiglia e a convogliarli in un unico flusso rappresentazionale.


 



03/02/2015

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