Intervista alle relatrici del convegno: L'attività clinica tra deontologia e norme, di G. Palladino

L’attività clinica tra deontologia e norme

 

Giuseppe Palladino intervista le relatrici: Lia Landi (socio AIPPI) e Maria Teresa Rotondaro Aveta (avvocato, già giudice del Tribunale per i Minorenni)

 

Cara Lia, con riferimento alla tua esperienza di psicologa e psicoterapeuta in un Consultorio che si occupa di assistenza all’età evolutiva e alla famiglia in un’ASL della Campania, desidererei sapere come è nato il tuo interesse per gli aspetti normativi e deontologici inerenti l’attività professionale.

 

Da molti anni svolgo la professione di Psicologo e Psicoterapeuta dell’età evolutiva, ho cominciato questa attività prima in strutture private convenzionate e presso il mio studio professionale e poi in modo esclusivo presso un Consultorio di un’Azienda Sanitaria, nella quale attualmente lavoro. Queste diverse esperienze, tutte accomunate dallo stesso focus di lavoro e cioè l’età evolutiva, mi hanno permesso di avere un ‘osservatorio privilegiato relativo alla complessità delle richieste che arrivano allo psicologo ma anche dei rapidi processi di cambiamento culturale, economico, sociale e legislativo che hanno caratterizzato e caratterizzano l’essere e il fare lo psicologo. Ulteriore stimolo all’interesse per l’applicazione della Deontologia all’attività Clinica, proviene dall’attività di tutor Aziendale per il tirocinio degli studenti e laureati delle Facoltà di Psicologia e per gli specializzandi in Psicoterapia, che dovendosi accingere allo studio delle norme che regolano questa professione (Legge 56/89, Codice Deontologico degli psicologi ecc), hanno manifestato una costante difficoltà nell’applicazione delle norme all’attività professionale. In questi anni attraverso l’attività di tutoraggio e di consulenza ai colleghi, ho cercato di mostrare che l’attività clinica, nelle sue più svariate declinazioni, deve svolgersi necessariamente all’interno di specifiche cornici normative e che perciò può essere definita il “setting esterno” che contiene, regola e permette il “setting clinico/terapeutico”.

 

Gentile Avv. Rotondaro Aveta, relativamente alla nostra professione, quali ritiene siano le norme e i principi deontologici fondamentali? Può fornircene una breve descrizione?

 

Devo dire innanzitutto, per inquadrare l’argomento in questione, che la deontologia professionale in genere, e quella dello psicologo, in particolare, attraversa trasversalmente diversi campi del diritto positivo ed è in continua evoluzione poiché, da un lato, evolve il diritto dall’altro, l’inquadramento professionale dello psicologo (L. n. 56/1989). Non possiamo negare innanzitutto che aumentano i diritti della persona e aumentano pertanto le interferenze con l’ordinamento interno delle norme comunitarie sulla spinta di trattati internazionali che proprio in tema di tutela dell’infanzia e dell’adolescenza sono frequenti e fecondi di sempre nuovi principi. D’altra parte è notorio che, proprio in tali tematiche, il ruolo della psicologia è di assoluta rilevanza e deve accompagnare la giurisdizione in ogni sua fase (accertamento, decisione, esecuzione) per rendere gli interventi efficaci e rispondenti alle domande di giustizia e di tutela. Fatta questa necessaria premessa, sinteticamente cercherò di elencare le norme coinvolte accostando al criterio della cronologia anche quello della gerarchia delle norme, utile ad apprezzare la forza cogente di ciascuna norma rispetto alle altre: cosa che complica non poco il compito dell’interprete soprattutto se costui è chiamato ad operare delle scelte che coinvolgono le proprie responsabilità. La norma fondamentale è come sempre la nostra Costituzione ed in particolare gli artt. 2, 3, 13, 28, 29, 30 e 32. Si tratta di norme che enunciano diritti fondamentali della persona (come il diritto alla libertà, alla dignità, alla solidarietà, alla salute) ma anche le responsabilità professionali e quelle dei genitori e nel contempo i diritti degli utenti e dei figli. La nostra gerarchia delle norme continua poi su due binari quello del diritto civile che imposta e regola gli istituti della famiglia, della filiazione, della responsabilità genitoriale, del matrimonio ecc., e quello penale che affronta i temi della violenza, del maltrattamento, dell’abuso sessuale, della responsabilità professionale ed individua le fattispecie penalmente rilevanti. Accanto a questi due filoni si pongono le regole processuali civili e penali che creano gli strumenti processuali per condurre i processi civili e penali che servono per affermare “saggiamente” il diritto (dal latino juris-prudens) ed affrontano temi come il segreto professionale; l’obbligo di referto; la testimonianza. Il diritto civile ha attraversato diverse trasformazioni di assoluto rilievo. Tra quelle meno recenti che hanno trasformato l’idea stessa di famiglia da bene protetto in sè a struttura funzionale allo sviluppo della persona vanno ricordate:

 

L. n. 431 del 1967 istitutiva dell’adozione speciale L. n. 898 del 1970 Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio

 

L. 19 maggio 1975, n. 151 Riforma del diritto di famiglia

 

ed infine la L. 184/83 nata come Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori e divenuta poi Diritto del minore ad una famiglia con la

 

L. n. 149/2001 che l’ha trasformata in modo importante con nuove implicazioni anche per i professionisti coinvolti in misura più pregnante dalle nuove norme. Più di recente altre leggi hanno vistosamente modificato il concetto di potestà genitoriale in responsabilità genitoriale e più in generale le relazioni all’interno della famiglia:

 

L. n. 56/2004 Disposizioni in materia di separazione tra genitori

 

L. 219/2012 Disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali Un cenno a parte va fatto per le convenzioni internazionali che hanno un rilievo fondamentale sia nell’interpretazione di norme preesistenti poiché ne arricchiscono i contenuti sia nella immediata e diretta applicazione nel nostro ordinamento. Tra le principali fonti normative internazionali vanno ricordate:

 

La Convenzione di Oviedo (1996)

 

La Convenzione dei diritti dell’infanzia (ONU 20.11.89). Su di un piano diverso va ricordato il Codice in materia di protezione dei dati personali (D. Lgs. 30.6.2003 n. 196) che pone la necessità del consenso dell’avente diritto nel trattamento dei dati personali. A guidare l’interpretazione delle fonti normative fin qui richiamate può farsi utile riferimento anche alla giurisprudenza soprattutto per ciò che riguarda le tendenze evolutive dell’ermeneutica giuridica. Infine si pongono le norme del Codice Deontologico degli Psicologi Italiani e quelle del Codice di Comportamento dei Dipendenti della Pubblica Amministrazione vincolante per gli psicologi inseriti in pubbliche strutture di cura. E’ un quadro evidentemente molto complesso che richiede particolare attenzione per non trascurare gli aspetti di cura e tutela soprattutto dei soggetti più deboli e nello stesso tempo per non pregiudicare i diritti dei soggetti coinvolti. In altre parole legittimità ed efficacia dell’operato dello psicologo devono trovare una felice convivenza.

 

Quali sono, a suo avviso, i rischi più comuni che possono derivare da una mancata applicazione di quelle norme e di quei principi?

 

I rischi più comuni in cui può incorrere lo psicologo in caso di scarsa conoscenza delle norme e degli istituti che le norme prima ricordate configurano sono, da un lato, quello di incorrere nella violazione di un diritto (ad es. non richiedere il consenso di entrambi i genitori per un intervento di cura o di diagnosi su di un minore) e, dall’altro, di omettere il referto o la segnalazione ad es. di un caso di maltrattamento o di abuso su minore). In entrambi i casi, dunque, si possono determinare effetti piuttosto gravi sia per il paziente che per lo psicologo.

 

Cara Lia, vorrei che ci parlassi della tua esperienza professionale in rapporto con le tematiche in questione.

 

Nel lavoro mi confronto frequentemente con le difficoltà insite nelle richieste di presa in carico che ricevo. L’ambito che mi sembra più complesso è quello relativo alle prestazioni professionali in favore di persone minorenni ( consenso informato, segreto professionale, etc…), soprattutto alla luce delle norme relative all’affidamento e all’esercizio della responsabilità genitoriale. In questo campo specifico, molti dilemmi affliggono il professionista che deve conciliare il rispetto delle norme con la tutela dei bisogni e delle richieste dei bambini e degli adolescenti. Il professionista può trovarsi nella difficoltà di dover decidere tra ciò che appare più opportuno e ciò che invece valuta come necessario. Un quesito tipico potrebbe essere: “ E’ possibile accogliere la richiesta dell’adolescente che vuole iniziare un percorso di consulenza psicologica, senza che i suoi genitori ne siano a conoscenza? Accogliendo tale richiesta si entra in contrasto con i dettami dell’articolo 31 del Codice Deontologico degli Psicologi?”

 

Il tema del diritto alla salute del minore, merita particolare attenzione in quanto, i principi affermati a livello internazionale ed europeo e gli orientamenti giurisprudenziali dei giudici italiani non ci permettono di continuare a ritenere che il minore, in quanto soggetto giuridicamente incapace di agire, non abbia nessuna influenza nella decisione in ambito sanitario, e per lui abbiano un incondizionato dovere e potere di decisione i genitori o tutori. Al tempo stesso l’art.2 del codice civile afferma che soggetti minori di 18 anni sono privi della capacità di agire. Si conferma la tesi che nell’ordinamento italiano ad oggi, non è intervenuta una legge dirimente sul momento in cui il minore si possa considerare maturo e capace di discernimento e dunque in grado di decidere da solo ed anche di iniziare un percorso di consulenza psicologica. In linea con il codice civile cito l’articolo 31 del Codice Deontologico: “ Le prestazioni professionali a persone minorenni o interdette sono, generalmente, subordinate al consenso di chi esercita sulle medesime la potestà genitoriale o la tutela. Lo psicologo che, in assenza del consenso di cui al precedente comma, giudichi necessario l’intervento professionale nonché l’assoluta riservatezza dello stesso, è tenuto ad informare l’Autorità Tutoria dell’instaurarsi della relazione professionale. Sono fatti salvi i casi in cui tali prestazioni avvengano su ordine dell’autorità legalmente competente o in strutture legislativamente preposte.” Intanto, però, lo Psicologo è tenuto a fornire adeguate informazioni al minore compatibilmente con l’età, la maturità e la capacità di comprensione e a tenere conto dei suoi orientamenti e della volontà espressa, infatti l’ art.4 del Codice Deontologico degli Psicologi recita così: ”Nell’esercizio della professione, lo psicologo rispetta la dignità, il diritto alla riservatezza, all’autodeterminazione ed all’autonomia di coloro che si avvalgono delle sue prestazioni; ne rispetta opinioni e credenze, astenendosi dall’imporre il suo sistema di valori; non opera discriminazioni in base a religione, etnia, nazionalità, estrazione sociale, stato socio-economico, sesso di appartenenza, orientamento sessuale, disabilità. Lo Psicologo utilizza metodi e tecniche salvaguardando tali principi, e rifiuta la sua collaborazione ad iniziative lesive degli stessi. Quando sorgono conflitti di interesse tra l’utente e l’istituzione presso cui lo psicologo opera, quest’ultimo deve esplicitare alle parti, con chiarezza, i termini delle proprie responsabilità ed i vincoli cui è professionalmente tenuto. In tutti i casi in cui il destinatario ed il committente dell’intervento di sostegno o di psicoterapia non coincidano, lo psicologo tutela prioritariamente il destinatario dell’intervento stesso”. Che fare allora? Dunque una situazione complessa per lo psicologo/psicoterapeuta che svolge una professione sanitaria, dove le responsabilità professionali e deontologiche si intrecciano e dove le risposte ai quesiti che la professione pone, non sempre trovano risposte nell’attuale Codice Deontologico, che dovrebbe essere strumento di riferimento e di sostegno alle decisioni, adeguato ai tempi e ai nuovi contesti di lavoro degli psicologi. Da qui la necessità di un’approfondita conoscenza delle norme ed in casi particolarmente complessi della collaborazione con un Avvocato per l’adozione di corrette procedure.

 

Gentile Avvocato, cara Lia, per concludere desidererei che ci descriveste il vostro punto di vista sulla collaborazione interdisciplinare nel comune settore di attività.

 

La collaborazione interdisciplinare è fondamentale, sia per individuare le condotte lesive dei principi deontologici, sia per la formazione su tale tema. Le norme del Codice Deontologico per gli Psicologi Italiani traggono dal più vasto ordinamento nazionale ed internazionale istituti, principi e regole che non possono essere ignorati e che sono in continua evoluzione. L’interprete giuridico deve perciò affiancare il professionista psicologo per ricondurre ed inquadrare le regole del Codice Deontologico nella più ampia cornice dell’ordinamento. Ovviamente, questo discorso non si estende a tutte le regole del Codice Deontologico, molte delle quali riguardano aspetti professionali prettamente di competenza dello psicologo.

03/04/2016

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