M. A. Lucariello Relazione alla presentazione del libro di S. Oliva: János Bolyai Uno sguardo psic..

Presentazione del libro di Silva Oliva: János Bolyai

Uno sguardo psicoanalitico su genio matematico e follia

Napoli 22-06-2019

                     

Relazione di Maria Antonietta Lucariello

 

“Capitano! Capitano! Capitano Bolyai...”. Al richiamo insistente il capitano Janos Bolyai non risponde, guarda assorto e trasognato nel cortile della fortezza militare di Temesvar ai confini del dominio asburgico, dove presta servizio nel corpo di ingegneria dell'esercito. Soldati a cavallo rientrano dopo un'esercitazione, smontano, tolgono le selle ai cavalli, (appunto le selle, avremo modo di vedere la pregnanza di una configurazione gestaltica in quegli umili, banali oggetti della vita lavorativa quotidiana). Più volte, alzando lo sguardo dalle pagine del libro di Silva Oliva, ho visualizzato questa scena, un frammento immaginario, quasi una sequenza di un film, grazie alla forza della scrittura che proviene dall'asciutta, ma proprio per questo, fortemente evocativa, presentazione di J.B. che nel primo capitolo del volume, Silva Oliva ci tratteggia. Ho immaginato in questo modo un frammento della vita di questo oscuro capitano che milita nei ranghi dell'impero austro-ungarico, senza alcuna attitudine per la carriera militare, riluttante alla severa disciplina, sofferente nel fisico ma molto abile come spadaccino e duellante. Quando un testo, che non sia un romanzo ovviamente, ha la forza evocativa di suscitare immagini sono certa che si tratti di un pregio notevole, ma molti sono in verità i pregi di questo libro perché oltre alle immagini suscita domande, pone problemi, in definitiva apre a nuovi orizzonti di concettualizzazione. Lungi dall'essere una patografia il testo di Silva Oliva ci presenta una storia di vita e di passione, di dolore e di riscatto attraverso la sfida di un altro linguaggio, il linguaggio matematico. Da tutte le pagine del libro e non solo nel primo capitolo, emerge la figura di J. Bolyai, di una mente avvolta dalle nebbie oscure di un pensiero delirante e pur tuttavia soffusa dalla luce chiarissima di un pensiero logico, razionale, che medita e innova, medita e scopre, medita e produce, ben ventimila pagine di manoscritti matematici. E tuttavia sono solo 26 le pagine dell’Appendix, in cui fonda un sistema concettuale (1829, ma pubblicata nel 1832), quello della geometria non euclidea iperbolica che propone l’esistenza di spazi molto diversi e che influenzerà la fisica, la filosofia, l’epistemologia del Novecento.   Ripercorrendo nelle pagine del libro gli avvenimenti della vita, il contesto familiare, le relazioni entro le quali si è strutturata la personalità del matematico, non posso non pensare che si tratti di una vita strozzata. Dopo un’infanzia triste, episodicamente turbolenta, istruito in casa dal padre, insegnante di matematica, solo a nove anni potè frequentare la scuola pubblica. Suo padre, oltre che alle discipline scientifiche, era dedito alla composizione di saggi in filosofia, letteratura, e si attendeva dal figlio una brillante carriera in matematica. II piccolo Janos rispondeva alle attese paterne se già a quattro anni conosceva alcune figure geometriche e la funzione seno; non ci stupisce che dimostrasse grande talento anche successivamente, risultando l’allievo migliore dell'anno alla conclusione della scuola superiore. Il sogno paterno di iscriverlo ad una prestigiosa Università per continuare la formazione matematica si infranse sugli scogli delle ristrettezze economiche in cui versava la famiglia. Decise così di mandarlo a Vienna a studiare ingegneria presso la Imperiale Accademia di Vienna. Janos aveva sedici anni, e si trovò a dover lasciare gli spazi della terra natia, le forme familiari delle torri e dei campanili, su cui aveva posato lo sguardo da fanciullo e che, giovinetto solitario, poteva ritrovare, nella forma semplificata, di una sella da cavallo. L’anno successivo ebbe la notizia della morte della madre che già sofferente per gravi turbe mentali, non aveva retto all’allontanamento dell’unico figlio. In questo lasso di tempo, in luoghi diversi, padre e figlio mantenevano una corrispondenza di elevati livelli di astrazione su temi matematici, in particolare sulla teoria delle parallele, e altrettanti livelli di rivalità, gelosia, sospetto e persecutorietà.  Per Janos divenne cogente, ossessivo, l’interesse per il 5° postulato di Euclide e inarrestabile sarebbe stato il percorso che lo avrebbe portato a fondare una nuova geometria. In una lettera del 1823 da Temesvar scriverà annunciando la sua scoperta: “Ora, io non posso dire più nulla che questo: dal nulla ho creato un mondo nuovo, diverso: tutto ciò che sono stato in condizione di fare fin qui è come un castello di carte rispetto a una vera torre”. Suo padre, che aveva tentato inutilmente di risolvere il problema del 5° postulato, gli aveva scritto più volte, cercando di dissuaderlo: “Per amor di Dio, ti prego abbandona questo argomento, temilo non meno della passione dei sensi, perché esso ti può privare di tutto il tuo tempo, della salute, della pace, della gioia di vivere”. Il padre si risposò e Janos ebbe così un fratellastro ferocemente odiato. Il secondo matrimonio del padre gli dette modo di parlare di sua madre nominandola come “la prima moglie di mio padre”. Eppure in una lettera in cui esprimerà il suo risentimento verso il matematico K. Gauss per l’accoglienza che aveva riservato alla sua Appendix dirà “Nessuno come me ha amato tanto mia madre”. Terminato in quattro anni il corso di studi che ne prevedeva sette, iniziò la carriera militare per la quale non aveva né interesse né attitudine. Ebbe fama di essere il miglior spadaccino, - fu coinvolto in numerosi duelli - una volta ne sfidò ben tredici - ed il miglior ballerino dell’esercito. Fu messo in pensione anticipata dopo un periodo di congedo per malattia diagnosticata come “nervosismo ipocondriaco”. I suoi superiori annotano nella sua scheda personale: “Non parla (lui che parlava sei lingue compreso il cinese), le sue ire sono brusche, è irritabile, evita la compagnia degli ufficiali, non mostra alcuno zelo nel servizio e ha la passione degli scacchi”. Dopo il forzato pensionamento e un breve soggiorno in casa del padre si ritirò in una tenuta di famiglia e conobbe quella che sarebbe stata prima convivente poi sua moglie da cui ebbe due figli. Anche in questa nuova realtà familiare sperimentò uno stato psichico di isolamento conflitto e rancore tale da indurlo alla violenza fisica e al punto da fa annotare nel registro dello stato civile che il figlio Denes non era suo “in quanto - si legge testualmente - tornando indietro con la memoria all’epoca corrispondente al concepimento la madre usciva frequentava luoghi sordidi e ritornava a casa in stato di eccitazione”. Anche dopo che lo ebbe riconosciuto come figlio le cose precipitarono e si separò, finendo per vivere in quasi totale isolamento, preda di una grave ipocondria. Gli ultimi anni cupi e solitari li dedicò alla scrittura di un’opera “Dottrina della salvezza universale” in cui vagheggia l’applicazione secondo il numero 12, i suoi multipli e sottomultipli, di un modello utopistico e del tutto irrealistico, di vita sociale, per la felicità del genere umano. Se il rapporto con il padre era stato all’insegna della rivalità e della gelosia nello studio della teoria delle parallele, il suo rapporto con la madre potrebbe essere visto come il nucleo basilare della sua follia: amore odio colpa dolore in una miscela micidiale e inestricabile che il trauma dell’allontanamento da casa riattiva e ne è riattivato. Dopo la partenza del figlio i disturbi psichici della madre peggiorano sempre più fino alla sua morte l’anno successivo. E fu proprio dopo la morte della madre che nel giovane Janos matura il frutto che lo porterà alla scoperta della geometria non euclidea; contemporaneamente si accentuano i suoi disturbi ipocondriaci e la bizzarria del comportamento, segnali fiorenti di uno stato psichico profondamente alterato.

L’intersezione di uno stato patologico e di una lucida capacità di elevata astrazione è il nodo concettuale che S. Oliva affronta e lo affronta, a parer mio, in due modi: il primo è ripercorrere e commentare le ricerche dello psicoanalista ungherese Imre Hermann che si è lungamente occupato di Bolyai. Un altro modo è il formulare alcune ipotesi che conducano il lettore a riflettere ancora una volta, sul binomio genio-follia.

Si tratta di un nodo che ha una grande tradizione in tutte le culture che hanno dato risposte diverse nei vari periodi storici. Già nel mito greco troviamo Dioniso, che è dio del caos e della creazione. Dal romanticismo ottocentesco al novecento, l’artista maledetto incarna la cifra del potenziale creativo anche nella sregolatezza della vita vissuta, con l’uso di droghe o allucinogeni per un effetto di potenziamento dell’attività immaginifica, al di fuori dei principi che regolano il procedimento razionale del pensiero, cioè al di fuori del principio di causalità e di non contraddizione. La domanda che attraversa secoli di studi in ambito filosofico, sociologico, letterario e psichiatrico, e da Freud in poi, anche psicoanalitico, è: la creatività, nella massima espressione dell’arte, è causa o effetto della follia? Il volume Genio e follia di Jaspers nel 1922 è solo un approdo di una speculazione di millenni. L’artista-folle è tale poiché sacrifica la sua mente e mette la sua parola al servizio del non-senso.

L’artista ha in sé il seme del talento ma il terreno in cui il seme germoglia è il terreno della follia che ostacola lo sviluppo del seme ma ostacolandolo lo forza ad una fioritura eccezionale e inconsueta. Il prezzo da pagare è altissimo ma solo così, dal più profondo degli abissi, si riemerge con l’opera della creazione. Diceva il poeta “E il naufragar m'è dolce in questo mare...”.

Una similitudine che è divenuta celebre di Jaspers sintetizza efficacemente il suo pensiero: “Così come la perla nasce dal difetto d’una conchiglia, la schizofrenia può far nascere opere incomparabili”.

Recentemente sono stati pubblicati i risultati delle ricerche sul legame tra malattia mentale e creatività, durate 40 anni del prestigioso Karolinska Institute di Stoccolma. Questa ricerca ha coinvolto 1,2 milioni di pazienti psichiatrici insieme ai loro parenti, fino ai cugini di secondo grado. Secondo i parametri presi in considerazione dagli autori della ricerca, pubblicata sul Journal of Psychiatric Research, il suddetto legame sarebbe stato evidenziato specie negli scrittori e nei pittori. Gli scrittori in particolare oltre ad una maggiore incidenza di schizofrenia, depressione, ansia e abuso di sostanze, hanno quasi il 50 per cento di probabilità in più di commettere suicidio rispetto alla popolazione generale. Si tratta dello studio più esteso mai condotto su questo tema e potrebbe essere ritenuto la conferma di quanto avrebbe affermato Aristotele: “Non esiste grande genio senza una dose di follia” cliché che nei secoli e nell’immaginario collettivo ha avuto grande grande fortuna. Non è di questa opinione Annelore Homberg, psichiatra e docente di Psicologia generale all’Università di Chieti. All’intervistatore che le riportava i risultati di questo ampio studio ha risposto “La creatività è una realtà psichica, la malattia mentale è tutt’altro. E tra l’una e l’altra non c'è alcun nesso causale nel senso che non è la tendenza a sviluppare una patologia mentale che rende creativa una persona”.

È vero che una persona che ha scoperto cose importanti sulla realtà umana o che ha cambiato, con la sua sensibilità artistica, la visione del mondo, corre poi più di altri determinati rischi di scompenso psichico. Sottolineo il “poi”: ritengo che tali rischi psichici non siano la causa della creatività ma vadano letti come reazione ad essa. Per motivi interni all’innovatore stesso ma anche esterni, è molto difficile reggere ciò che si è riusciti a fare, ad esempio le proprie scoperte quando toccano cose umane profonde. Ci vuole una struttura di personalità solida fino all’inconscio che purtroppo non tutti hanno, ma è comunque pensabile, e accade pure, che anche un innovatore geniale possa rimanere mentalmente stabile.

In pratica, più l'artista, lo scienziato, lo scrittore è stato innovativo e più deve fare i conti con il resto della propria personalità per reggere il peso della realizzazione creativa.

Sembrerebbe che un filone di idee presente anche in matematici di professione (come Terence Tao) porti a sfatare il culto del genio, a rinunciare all'idea romantica della mente geniale nella follia e folle nella genialità.

Ultimo, ma non ultimo, pregio del testo di Silva Oliva è di invogliare il lettore ad un ulteriore approfondimento del tema, curvandolo verso la rarefatta capacità di astrazione propria di una mente avvezza al ragionamento matematico. È possibile ipotizzare che tale capacità non sia solo sia solo l'esito di funzioni difensive, ma peculiarità innate della mente che in alcuni individui persistono nel tempo e consentono la trasformazione dell’esperienza e la trascrizione attraverso un codice simbolico che ha un proprio formale linguaggio.

Comprendere la specificità di questo linguaggio non è agevole, per chi non ha la sufficienza in matematica ma oggi abbiamo il valido aiuto dell’autrice e le lascio la parola. Ma prima consentitemi di ricordare le parole di Machiavelli nella lettera al Vettori (1513) quando fu costretto a ritirarsi in esilio a San Casciano, poco lontano  da Firenze ma lontanissimo dalla corte medicea e da quel principe a cui dedicherà la sua opera più celebre, ‘Il Principe’, “Venuta la sera, mi ritorno a casa ed entro nel mio scrittoio; e in sull’uscio mi spoglio quella veste cotidiana, piena di fango e di loto, e mi metto panni reali e curiali; e rivestito condecentemente, entro nelle antique corti delli antiqui huomini, dove, da loro ricevuto amorevolmente, mi pasco di quel cibo che solum è mio e ch’io nacqui per lui; dove io non mi vergogno parlare con loro e domandarli della ragione delle loro azioni; e quelli per loro humanità mi rispondono; e non sento per quattro hore di tempo alcuna noia, sdimentico ogni affanno, non temo la povertà, non mi sbigottisce la morte: tutto mi transferisco in loro.

 

15/07/2019

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