A. Green Illusione e disillusione del lavoro psicoanalitico. Le monde

Da “Le Monde” Venerdì 11 Giugno 2010 Roger-Poi Droit

Andrè Green “Creare tecniche alle quali Freud non aveva pensato”


Figura decisiva della psicoanalisi contemporanea, Andrè Green sottolinea i limiti della terapia, per meglio rinnovare teoria e pratica. Quando si incontra Andrè Green, si è colpiti prima di tutto dalla sua rara apertura di mente, la sua maniera di mettere alla prova la sua esperienza e i suoi concetti. Tutto l’inverso del dogmatico o del demagogo… La prova: oggi, questo grande nome della psicoanalisi contemporanea, autore di almeno 25 saggi, maestro poco avido di microfoni e di telecamere, non esita, nel suo ultimo libro, a mettere sul tappeto certe difficoltà attuali nei trattamenti, vedere gli insuccessi ai quali vanno incontro alle volte i discepoli di Freud. Con un solo scopo: che questo esercizio di lucidità consenta di andare avanti (progredire), di superare gli ostacoli e di continuare a far progredire l’avventura freudiana. Con questa riflessione critica e costruttiva, Green si situa nella continuità del padre fondatore: “ Freud non ha smesso di preoccuparsi degli ostacoli che incontra la psicoanalisi, spiega. E’ perché egli ha costantemente mutato opinione. Ha numerose volte rimaneggiato i suoi concetti in funzione delle difficoltà che gli si presentavano. E’ questa ricerca che noi dobbiamo proseguire. Se si constata oggi un certo disincanto verso la psicoanalisi, bisogna capire ciò che non abbiamo visto, creare delle tecniche a cui Freud non aveva pensato.” Ecco perché, a dispetto degli anni, Andrè Green non smette di cercare. Eterno curioso, attento a nuovo pensiero, sempre pronto a prendere i rischi, lo si vede dialogare veramente, sullo sfondo, con interlocutori assai diversi- neurologi o linguisti, antropologi o scrittori, poeti o filosofi. Da Maurice Godelier a Yves Bonnefoy, passando per Jean-Didier Vincent, Charles Malamoud e altri, tutti coloro che scambiano con lui argomentazioni e obiezioni conoscendo la sua esigenza quanto il suo pensiero di verità. Ciò che ha orientato tutto il suo percorso, è l’elaborazione di una conoscenza dello psichismo umano assieme rigoroso e conforme alle specificità del suo oggetto. Là pure, i suoi punti di partenza furono quelli di Freud. Essi sono rimasti quelli di Green nel corso di un lungo periplo teorico e pratico. Tra il giovane uomo, nato a Il Cairo, che arrivò a Parigi nel 1946 per iniziare i suoi studi in medicina, e il pensatore attuale, c’è un percorso attivo di una moltitudine di esperienze, di idee, di istituzioni e anche di conflitti. In rapporto con Donald Winnicott dal 1957, e con Wilfred Bion a partire dal 1976, Andrèe Green è rimasto attento agli sviluppi fecondi della psicoanalisi britannica nel momento in cui il regno di Lacan dominava la scena francese. Vicino a quest’ultimo negli anni 1960, Green ha rotto con lui nel 1967. Riconoscendo il suo apporto teorico, egli rimane molto critico verso la sua pratica e, ancor più, verso i suoi eredi. Da parte sua, Green ha elaborato un lavoro concettuale importante e differente: nel corso degli ultimi decenni, si deve a lui specialmente d’aver messo in luce il “lavoro del negativo” e il “tempo in frantumi” del funzionamento psichico. Clinico, è anche uno dei rari psicoanalisti ad avere dedicato dei saggi minuziosi alla letteratura, indagando in particolare le opere di Shakespeare, Joseph Conrad e Henry James. Questi ultimi anni, ha messo principalmente l’accento sulla questione della distruzione e sull’esistenza, sempre controversa, dell’esistenza della pulsione di morte. “Buona parte degli psicoanalisti non ha voglia di sentir parlare della pulsione di morte, immaginando che se essa esiste, non è più possibile lavorare, dice. Al contrario io penso che dobbiamo prendere sul serio questa ipotesi, che fu elaborata da Freud assai tardi. Perché essa può spiegare una parte dei nostri insuccessi. Costatiamo in effetti, in certi pazienti, una inclinazione al malessere, un’ostinazione nel rifiuto a guarire.” In alcuni individui, questa interiorizzazione del negativo conduce, secondo Andrèe Green, a una inversione del valore della vita: il malessere è preferito a tutto. A questo masochismo, lo psicoanalista confronta oggi, sul registro collettivo, la falsificazione di ogni verità e il regno della menzogna generalizzata messo in piazza dai regimi totalitari. Fondata su una lettura attenta di L’Olocausto come cultura, di Imre Kertèsz (Actes Sud, 2009), questa analisi è senza dubbio una delle più innovatrici della sua ultima opera. Tra distruzione individuale e distruzione collettiva, la psicoanalisi può mettere in luce contemporaneamente le rassomiglianze e le differenze di registro: “ Ciò che Freud chiama il malessere nella civilizzazione è un effetto della pulsione di morte. Il suo dominio d’azione è il sociale, non l’individuale.” Dal momento in cui si intravede la profondità e l’estensione di questa ipotesi, le domande travolgono. Non è questa una visione molto nera? Non bisogna lasciare posto alla speranza, individuale e collettiva? Come coniugare la perdita salutare delle illusioni con la necessità di continuare ad agire, e dunque di credere in ciò che si fa? Tutto sommato, il procedimento di Andrè Green sembra poggiare sul paradosso fecondo d’una disillusione creativa (creatrice), anzi stimolante. “ Freud voleva la disillusione a qualunque prezzo, dice. Winnicott sottolinea al contrario che l’illusione ha degli aspetti positivi, e che non si può vivere senza. Ma non si deve dimenticare che il valore supremo, per Freud, è l’amore della verità.” Alla fine, la lucidità non conduce ineluttabilmente al pessimismo? “Non necessariamente. La lucidità si distingue dal pessimismo radicale… Essa non implica che tutto vada male, ne che non si possa mai trovare nuove uscite. A condizione di concedersi (darsi) i mezzi per cercarle, ciò presuppone di iniziare ad ignorare le calunnie. Le persone che riversano oggi immondizie sugli psicoanalisti non li conoscono. Li presentano come una cricca di pirati che abusano della brava gente sottraendo loro del denaro. La realtà è tutt’altra.” Sulle polemiche del momento, non altra risposta. Esse sono troppo profondamente stupide, volgari e truccate per meritarsi di meglio. Decisamente, Andrè Green è molto singolare. Freudiano, respingendo dunque d’essere “freudolatra”, psicoanalista, rifiutandosi dunque di divenire trionfalista, lucido, guardandosi quindi d’essere troppo pessimista, persiste ad essere ciò che è divenuto dopo lungo tempo: coerente e rigoroso, in tempi di confusione e di impostura. Siccome critica da un lato i lacaniani e dall’altro i calunniatori della psicoanalisi, si espone a scontentare tutti. Si ricorderà che è spesso da questo, anche, che si riconosce un vero pensatore.

Un esercizio di lucidita’: Andrè Green: Illusione e Disillusione del lavoro psicoanalitico. Credere che tutto va per il meglio nei migliori dei mondi psicoanalitici possibili, immaginarsi che i pazienti guariscano sempre, pensare che la storia della psicoanalisi sia un lungo fiume tranquillo… ecco le illusioni. Constatare le difficoltà, riconoscere gli insuccessi, comprendere le crisi e le loro complessità, ecco le disillusioni. Precisione essenziale: questo esercizio di lucidità non è destinato a gettare la terapia sul divano. Mira al contrario ad aprire alle scoperte di Freud un nuovo avvenire. Non l’indomani che cantano ne il dopodomani che smettono di cantare, ma piuttosto la riflessione caso per caso, in funzione della storia di ciascuno, e degli aggiustamenti progressivi che creano. Frutto di mezzo secolo di esperienze e riflessioni, la notevole prova di André Green, Illusioni e disillusioni del lavoro psicoanalitico, è coraggiosa e salutare. Si rivolge innanzitutto a coloro i quali condividono, nel quotidiano, questa avventura. L’insolito, è che un clinico di prima grandezza si assuma il rischio di esporre casi dei quali non ha potuto venire a capo, che egli riconosca di non aver saputo comprendere e trattare. Ma che egli ha sostenuto, accompagnato, aiutato malgrado tutto. Questo “malgrado tutto” potrebbe essere la chiave di questa meditazione che combina importanti riflessioni teoriche ( sulla evoluzione della psicoanalisi dopo Freud,, sul posto del linguaggio, la cornice dell’analisi) con una serie di storie di casi, tratti dall’esperienza di collaboratori di André Green o di suoi ricordi personali. Scrutare le difficoltà delle cure classiche, esaminare il nuovo apporto delle psicoterapie, lavorare continuamente i concetti e i metodi, è per lo psicoanalista assicurare l’avvenire, fare che l’avventura freudiana continui. R.P.D. (Traduzione dal francese di Giulia Miceli)

17/02/2012

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