Gruppo Ricerca ed Intervento sulla PMA: Commento sullo scambio di embrioni in un Ospedale di Roma

GRUPPO DI RICERCA ED INTERVENTO SULLA STERILITÀ, PROCREAZIONE MEDICALMENTE ASSISTITA E GENITORIALITÀ

 

 

 

Daniela Bruno, Laura Calzolaretti, Enrica Fondi, Silva Oliva, Annalisa Scanu

 

Un commento sullo scambio di embrioni avvenuto in un grande Ospedale  di Roma

 

 

 

I fatti accaduti recentemente in un grande Ospedale  di Roma hanno ovviamente sollecitato nel nostro gruppo una serie di riflessioni che desideriamo condividere con la più ampia comunità degli psicologi.

 

Riassumendo brevemente l’accaduto: nel mese di dicembre 2013 diverse coppie si sottopongono a dei trattamenti di fecondazione assistita omologa[1] presso l’Ospedale romano. Si tratta di tecniche di secondo livello per cui i gameti di entrambi i genitori si incontrano in laboratorio, dove, qualora il processo abbia buon fine, si creano degli embrioni vitali che possono essere trasferiti nell’utero materno.

 

Tra queste coppie, una scopre che la PMA è andata a buon fine e di essere in attesa di due gemelli. Tuttavia, dopo che la madre si è sottoposta alla villocentesi, emerge che i due feti hanno un patrimonio genetico incompatibile con quello dei genitori. Entro breve tempo e con grande clamore mediatico emerge la verità: è avvenuto uno scambio di embrioni. In quei giorni una coppia la cui PMA non ha avuto successo, si muove per “reclamare” alla nascita quelli che potrebbero essere i bambini procreati con il proprio patrimonio genetico. Tuttavia il patrimonio genetico dei due feti corrisponde a un’altra coppia, per la quale, ugualmente, la PMA non si è conclusa positivamente.

 

Non è difficile intuire i pensieri che probabilmente quasi tutte le coppie italiane, che hanno procreato grazie alla PMA, abbiano fatto in quei giorni, come abbiano guardato i loro bambini, come abbiano potuto allontanare il pensiero che anche a loro potrebbe essere accaduta una simile fatalità.

 

Questa vicenda probabilmente ha riportato a galla, quasi con violenza, una serie di vissuti rimasti in molti casi inesplorati circa i sentimenti di intrusione e manomissione del proprio corpo, dei propri gameti, della propria intimità, in un processo che non vede protagonista solo la coppia che decide di avere un bambino, ma tutta una serie di figure e procedure. È naturale pensare che questo evento drammatico possa avere avuto un’ampia risonanza emotiva in tutti coloro che aspirano a diventare genitori tramite queste tecniche e nelle famiglie così formate.

 

Non solo, probabilmente molte delle coppie che fino adesso hanno avuto diverse esperienze di PMA hanno visto riaprire le loro ferite ed interrogarsi se per caso i loro insuccessi non siano derivati da embrioni non propri e se forse da qualche parte esistano i loro  “figli” biologici finiti erroneamente nell’utero di un’altra donna.

 

Questo fatto non riporta solo l’attenzione su quello che possiamo chiamare “errore umano” o “malasanità”,  peraltro sempre possibile nonostante l’auspicabile perfezionamento delle modalità di verifica e controllo delle procedure, ma sulla pratica stessa che, sebbene offra possibilità impensabili fino a qualche decennio fa alle coppie sterili o infertili, non può ovviamente rispondere alla complessità dei vissuti psichici che accompagnano il lungo processo di filiazione.

 

        Di fatto si è determinato in modo accidentale, malgrado il desiderio e la volontà di tutti, un evento analogo a quella di una fecondazione eterologa con doppia donazione,  con un ovulo ed un seme estranei   alla coppia; non può non colpire la contemporaneità, del tutto fortuita,  della sentenza della Consulta che  il 9 aprile 2014 ha dichiarato incostituzionale il divieto di PMA eterologa, con l’esplosione del caso sui media.

 

Molte sono le questioni sollevate da questo caso che hanno una rilevanza sia sociologica che psicologica. Dal punto di vista sociologico, per la novità dell’evento nel nostro paese, siamo in presenza di un’assoluta anomia: occorre stabilire chi siano “i genitori” dei bambini e questo significa optare per una scelta di campo ben precisa che privilegi la continuità genetica oppure la gestazione. È quindi in gioco il significato della parola madre e/o padre o perlomeno la necessità  di una rivisitazione e precisazione anche per gli anni a venire.

 

Allo stato attuale, la mancanza di una legislazione  definita che possa regolare casi di determinati errori umani nell’ambito della PMA, sta aprendo la strada a diverse ipotesi e interpretazioni, anche contrapposte, rispetto a quale coppia avrà diritto a svolgere le funzioni genitoriali e ad allevare i bambini, che possiamo riunire in 4 grandi aree. Le prime due attribuirebbero i bambini alla coppia gestante, la terza e la quarta ai genitori biologici.

 

     La prima ipotesi si rifà al principio che secondo la legge italiana (articolo 269 del codice civile) il figlio è di chi lo partorisce. La seconda fa esplicito riferimento all’articolo 9 della legge 40/2004 che ai commi 1 e 2 impone il divieto di disconoscimento della paternità e dell’anonimato della madre; di conseguenza la coppia “gestante” sarebbe obbligata a riconoscere i bambini. Inoltre al comma 3, in riferimento ad un’ipotetica eterologa in violazione dell’articolo 4, comma 3, si precisa che “il donatore di gameti non acquisisce alcuna relazione giuridica parentale con il nato e non può far valere nei suoi confronti alcun diritto né essere titolare di obblighi”.

 

La terza e la quarta interpretazione porterebbero invece ad affidare i bambini ai genitori biologici: anche la terza chiama in causa la legge 40/2004, ma con esiti contrapposti rispetto alla seconda interpretazione. Essa richiama l’attenzione sugli articoli 6  e 8: il primo regola il consenso informato, che mancherebbe nella coppia gestante  non avendo questa dato il consenso all’impianto di embrioni non suoi; il secondo, l’articolo 8 (che regola lo stato giuridico del nato), recita che “I nati a seguito dell'applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita hanno lo stato di figli legittimi o di figli riconosciuti della coppia che ha espresso la volontà di ricorrere alle tecniche medesime ai sensi dell'articolo 6”, per cui, secondo questa interpretazione, solo la coppia di genitori biologici avrebbe espresso la sua volontà e a questa dovrebbero dunque essere affidati i bambini. Secondo la quarta si potrebbe, infine, fare riferimento al caso previsto dall’articolo 239 del Codice Civile sulla sostituzione di neonato, per cui i genitori biologici potrebbero fare, alla nascita dei bambini, richiesta di restituzione.

 

La mancanza di una norma condivisa costituisce un potente impedimento al progressivo strutturarsi di un codice culturale e simbolico di riferimento che aiuti, nel succedersi dei passaggi transgenerazionali il confronto e l’accettazione di queste pratiche, così come l’elaborazione intrapsichica. A riprova di questo è il fatto che si continui  a definire “nuove” queste tecniche pur essendo in atto da diversi decenni e pur essendo ormai entrate nell’ esperienza di genitori, medici e psicoterapeuti.

 

Tuttavia,  la presenza di  leggi o  norme che regolino  il contratto o la “transazione” tra donatori di ovuli e aspiranti genitori, come già  avviene in numerosi paesi del mondo, non esaurisce le problematiche  che a livello psichico investono   queste forme di genitorialità, specie per ciò che riguarda il percorso di  filiazione. Si tratta di quel  processo complesso che porta quel padre e quella madre ad essere genitore di quel bambino, che comporta un riconoscimento conscio e inconscio e presuppone un’ identificazione, un  confronto /distinzione con il figlio  come  altro da sé.

 

Secondo il nostro  punto di vista psicoanalitico, la procreazione  medicalmente assistita, quindi, si pone lungo lo stesso continuum della genitorialità cosiddetta naturale, dell’adozione e di altre forme di genitorialità che dal punto di vista della filiazione possono  contenere  analoghi livelli di complessità ed eventualmente di problematicità.

 

Al di là degli esiti di questa dolorosa vicenda,  ci si può chiedere quanto  i membri della  coppia che sta portando avanti la gravidanza potranno  sentirsi  autorizzati  ad essere  padre e madre, oltre il riconoscimento legale, dal momento che il loro vissuto diventerà parte integrante del processo di filiazione che li porterà ad essere e sentirsi genitori di quei bambini e che peso emotivo implicito o esplicito graverà sui bambini una volta venuti al mondo.

 

Diverse  ancora   le implicazioni psicologiche per la coppia che si è trovata inconsapevolmente e contro la propria volontà ad essere “donatrice” del proprio materiale biologico. Ci chiediamo ad  esempio come  sarà possibile elaborare e sciogliere i nodi relativi ad un forte attaccamento agli embrioni che riteniamo essere basato su specifiche fantasie di presentificazione e identificazione  precoce degli embrioni come “ figli” a tutti gli effetti, fantasie che si evidenziano nelle coppie che affrontano  le fasi di pre - impianto  nella PMA e che spesso osserviamo nei nostri pazienti.

 

        La letteratura internazionale evidenzia come il perseguire queste pratiche susciti delle fantasie la cui portata solo ora inizia ad essere riconosciuta e compresa, anche per la rilevanza che acquistano nel processo di filiazione. Se la mancanza di continuità genetica avvicina queste esperienze procreative alla genitorialità adottiva, numerose e molto significative sono le differenze con quest’ultima pratica di filiazione. Oltre alla profonda diversità relativa alla gestazione che, nell’adozione può essere solo mentale ed emotiva, mentre nella PMA si realizza una reale esperienza di gestazione per la madre e il bambino, un’altra significativa differenza  è il mantenimento del segreto delle origini rispetto al figlio nato da pratiche  con donazione che, contrariamente alla filiazione adottiva,  arriva a raggiungere il 90% dei casi (per una rassegna vedi Golombok et al. (2011)[2], anche se uno studio su un campione di donne finlandesi che hanno fatto ricorso ad ovodonazione effettuato da Söderström-Anttila et al. (2010)[3] evidenzia una maggior tendenza all’apertura e allo svelamento.

 

Ciò  ci induce  a considerare  che  di fronte a queste  “nuove” possibilità offerte dalla tecnica medica, manchi l’apparato simbolico e di linguaggio per parlare e per pensare a questi modi nuovi di diventare genitori. Inoltre occorre sottolineare come i significati sottostanti al mantenimento del segreto possano essere molto diversi:  proteggere se stessi, il nascituro, negare fino al diniego, nascondere sentimenti di rifiuto, di vergogna, o solo legittimi sentimenti di ambivalenza.  Diverse saranno conseguentemente le implicazioni psichiche, consce e inconsce, a seconda del significato soggettivo presente nel desiderio di mantenere il segreto.

 

Sembra quindi  necessario sviluppare diverse modalità per pensare e  parlare del processo di assunzione della responsabilità psichica genitoriale in modo indipendente dalla continuità genetica e rintracciare termini quali  filiazione e processo di filiazione o crearne di nuovi per definire questo processo.

 

Esiste indubbiamente uno iato  tra appartenenza biologica e  filiazione  che nel concepimento naturale si sviluppa in genere  in un continuum spazio-temporale,  anche in parte garantito dal fatto che i fenomeni psichici che coinvolgono genitori e nascituro avvengono in modo prevalentemente inconscio. La PMA  esplicitando  tutti i momenti critici del percorso che porta ad essere genitori può trasformare questo iato in una vertigine,  in un conflitto che deve essere risolto a livello giuridico, sociale,  psichico e relazionale, dal momento che intrude nell’immaginario dei futuri genitori, bloccandolo o trasformandolo.

 

Si afferma sempre più la convinzione che  l’essere  padre e/o madre implichi l’assunzione in proprio di certe funzioni e che chiunque le assume sia, per questo, padre e/o madre. A. Ferro, in una intervista al Corriere della sera   del 6 gennaio 2013, osserva: “Ciò a cui siamo destinati ad assistere è una prevaricazione del mentale sul biologico non soltanto in termini culturali ma direi anche che l'irrompere del mentale nella nostra specie sbaraglia assetti biologici, istintuali precostituiti e affermatisi. Dove tutto questo possa portare non lo sappiamo: sappiamo però che tutto ciò che è nuovo come prima reazione ci scandalizza perché turba degli assetti di pensiero stratificatisi nel buon senso e ci impone nuovi pensieri e nuove realtà emotive con cui confrontarci. Se è vero che il «funzionamento della mente» è lo specifico della nostra specie ciò implica una serie di conseguenze a cascata di cui non siamo consapevoli in modo chiaro..... . Più il «mentale» si impone più avremo a che fare con funzioni: funzione materna, funzione paterna che potranno essere esercitate in modo non necessariamente coerente con l'appartenenza biologica”.

 

Come sappiamo la sterilità sia maschile che femminile è in aumento per cause sociali e di di inquinamento ambientale. È  possibile che tra 20 o 30 anni le pratiche  di PMA eterologa si diffondano a tal punto da creare una nuova coscienza ed una accettazione più consapevole del fatto che essere genitori è qualcosa di molto diverso che fornire un corredo genetico e che richiede una disponibilità ad assumere alcune specifiche responsabilità e nel mondo esterno e nel mondo interno. Forse in futuro queste situazioni potranno essere considerate alla stesso modo di adozioni precoci o precocissime, come tali vissute con meno vergogna e/o colpa e quindi accettate  e discusse pubblicamente.

 

Come psicoanalisti possiamo aiutare i nostri pazienti ad elaborare i vissuti dolorosi inerenti la sterilità, passo previo e necessario per intraprendere il cammino della PMA, particolarmente quella eterologa,  al fine di facilitare la creazione di uno spazio mentale in entrambi i genitori che consideri il nuovo nato un “altro da sé” non perché geneticamente allotrio, e quindi in alcuni  casi inconsciamente rifiutato o considerato possesso esclusivo di un genitore unico, come purtroppo può capitare di osservare nelle nostre stanze di analisi, ma perché diverso come individuo certamente da formare, ma anche da scoprire nella sua autonoma unicità in progressivo sviluppo.



 








[1] Come è noto, in Italia, nel dicembre 2013 vigeva la legge 40/2004 che vietava tassativamente la fecondazione eterologa.

 

 



[2] Golombok, S. R, Blake J., Casey L., Mellish P.,  Marks L., Jadva A., Vasanti (2011) Children conceived by gamete donation: Psychological adjustment and mother-child relationships at age 7; Journal of Family Psychology, Vol 25(2), Apr, 2011. pp. 230-239.

 



[3] Söderström-Anttila, V.,  Sälevaara, M., Suikkari, A.M. (2010) Increasing openness in oocyte donation families regarding disclosure over 15 years. Human Reproduction, Vol.25, No.10 pp. 2535–2542, 2010

 

 

19/06/2014

Centri Clinici AIPPI

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