Quarantena: solitudine o troppo affollamento? Di C. Frangipane

 

Quarantena: solitudine o troppo affollamento?

di Claudia Frangipane

 

Mentre ci troviamo ad affrontare la dimensione di isolamento, la sensazione è che risuonino pensieri e informazioni che danno anche il senso opposto, quello dell’affollamento.

Questo sia nel modo di condurre le relazioni che passano da un consistente diradamento di presenze ad un’affollata partecipazione di tutti su tutto, sia nel vivere in un universo molto ristretto in cui però la moltitudine di informazioni allargate e contrastanti e la necessità di riceverle costantemente catapulta in una sfera dove il privato è confuso con la dimensione esterna.

La notevole quantità di “gruppi” online ha esasperato un andamento già precedente all’emergenza, dove la relazione a distanza diventa un nuovo tipo di presenza a volte troppa assidua, proprio perché paradossalmente non consente una distanza.

Non c’è un tempo in mezzo fra il proprio pensiero e quando il pensiero non è più proprio perché arriva all’altro. In tutto ciò ha giocato molto l’angoscia che rende più difficile vivere la dimensione privata e “la capacità di essere soli”.

Come terapeuti ci siamo sentiti più direttamente a confronto con la situazione vissuta da molti ragazzi che seguiamo: il loro isolamento, ma anche la loro quantità di contatti. Questo a volte lo abbiamo visto come un modo sostitutivo per non affrontare direttamente delle situazioni troppo faticose e frustranti, ma in questo periodo il dover trovare tutti noi degli strumenti sostitutivi per entrare in relazione ha creato una nuova risonanza.

Passare alle psicoterapie online, spinti dalla necessità di colmare una distanza imposta, ci ha portato a far parte di un universo del quale i nostri pazienti finora ci avevano solo parlato. Siamo stati inseriti proprio materialmente nel mezzo di una giornata fatta di lezioni online e di video-chiamate con gli amici, e di colpo ci siamo trovati a partecipare in modo più diretto alla vita dei pazienti, il nostro occhio è entrato nella loro casa e il loro nella nostra. La consapevolezza di quanto tutto ciò determinasse un cambiamento profondo di setting, mi ha fatto sentire fin dall’inizio quanto fosse essenziale, proprio per non subire una modificazione così profonda e non decisa, trovare un modo di utilizzare tale cambiamento. Tenendo ben salde alcune qualità imprescindibili per garantire allo spazio terapeutico fermezza e continuità, il dare voce anche in seduta a ciò che cambia ha dato una nuova dimensione alla relazione.

In questo periodo c’è stato un intreccio fra un cambiamento spazio-temporale dovuto all’uso degli strumenti informatici e un differente modo di vivere tempi e spazi nella situazione emergenziale.

Nella relazione terapeutica ciò è stato centrale, trovandosi, come in un dato di fatto, a stare insieme in altro modo.

Nel percorso del paziente non ci sono quei tempi che fanno già parte della terapia: il tempo prima di arrivare allo studio, il discriminare la scelta dal trovarsi già lì, il tempo dopo che serve ad affrontare la separazione, il viaggio di ritorno che consente un passaggio in cui assorbire e ritenere. Nelle sedute online non c’è lo spazio in mezzo fra la propria vita e la seduta, si attualizza, invece, l’iper connessione con la realtà: il terapeuta è presente con un clic.

In queste sedute il riverbero della dimensione di immediatezza si collega ad un tempo sospeso, dove le attività sono rarefatte, la quotidianità è stravolta e si vive in aspetti presenti più che poter pensare al futuro. 

Per questo è stato molto importante mantenere cadenze e orari fissi e per quanto possibile anche un luogo fisso, almeno per il terapeuta.

Un incontro attraverso lo schermo, in cui ogni aspetto di presenza corporea e condivisa è escluso, rende la relazione più fuggevole e sospesa, la mancanza di stabilità è data anche dall’assenza di un luogo condiviso. Ciò rende ancor più importante utilizzare alcuni elementi quali la funzione regolativa di un setting seppur modificato e la funzione analitica data da una presenza stabile: una “disponibilità” del terapeuta nel fornire una rêverie e un accoglimento. Come dice Loewald: uno degli elementi che mettono in moto il cambiamento psichico nell’analisi è il fatto che “L’analista si rende disponibile per una nuova relazione d’oggetto” (Hans Loewald "L’azione terapeutica della psicoanalisi" 1960 International Journal of Psychoanalysis).

La situazione molto incerta che viviamo attualizza maggiormente il fatto che il setting venga attaccato e c’è il rischio che come terapeuti si cada nella confusione fra l’utilizzo di una maggiore flessibilità, necessaria a dare vita a nuovi spazi interpretativi, ed una malleabilità eccessiva rispetto al paziente, quasi ci si sentisse in difetto per non poter fornire lo spazio adeguato.

Inoltre in questo periodo gli aspetti di sospensione quando si collegano a contenuti angosciosi hanno richiesto un particolare lavoro. Gli aspetti ansiogeni si sono espressi in modo controverso: da una parte sono emersi in modo esplicito, collegati alla situazione di angoscia collettiva, carica di indefinitezza e di dubbi, dall’altra proprio il vivere questo periodo e questa fase del tutto particolare in cui ogni attività è sospesa ha fatto invece da cuscinetto alle angosce.

Soprattutto nel primo periodo di quarantena, tutta la durezza di quello che alcuni ragazzi stavano vivendo prima della pausa, in termini di impatto con una realtà vissuta come frustrante, ambigua e conflittuale, si diluiva nello spazio vuoto di attività e relazioni. Questo vuoto poteva facilmente sfuggire in aspetti depressivi, ma il potersi tenere in una zona intermedia, dove il non-tempo permetteva la non-azione, ha anche avuto effetti protettivi. Rispetto all’isolamento auto-diretto, l’isolamento imposto non ha avuto solo aspetti bloccanti: ha preso risvolti diversi anche a fronte delle diverse situazioni individuali, accentuando - secondo i casi - maggiormente gli aspetti claustrofobici, depressivi o di simbiosi protettiva, a volte rappresentando quasi un rifugio.

Mi sono trovata con adolescenti per i quali il contatto stretto con i familiari e la dimensione senza tempo hanno avuto la funzione di rinforzare aspetti di negazione della conflittualità e regressivi. Tale regressione a volte ha esercitato quella funzione protettiva di cui si diceva, altre ha innescato una sintomatologia. Ad esempio per un bambino in fase di latenza il contatto stretto con la coppia di genitori ed anche con un fratellino nato da poco ha “slatentizzato” Edipo e rivalità fraterna, attivando una sintomatologia emergente.

Lavorare sulle differenze fra un prima e un dopo nelle sedute, sull’interpretazione dei diversi aspetti del transfert, ha aiutato a non sentire “il tempo del Covid” come una cesura e ad affrontare gli aspetti traumatici. La continuità è venuta proprio dal poter tenere un legame interpretativo fra ciò che dei pazienti prende nuove forme per via del cambiamento, che si è attualizzato giocoforza, e ciò che persiste e che conosciamo di loro e di cui siamo depositari.

14/05/2020

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