Separarsi per crescere di L. Iannotta e B. Micanzi Ravagli

Separarsi per crescere

 

A un anno all’asilo nido: è un trauma?


È normale che un bambino pianga quando si allontana dal genitore? Attaccamento e separazione: quale equilibrio? Qual è il significato del pianto? Come posso preparare mio figlio alla scuola dell’infanzia? A un anno all’asilo nido: è un trauma? Certamente è un grande cambiamento il passare dalla propria casa, dove il bambino è al centro dell’attenzione, ad un ambiente più vasto e rumoroso dove l’attenzione degli educatori va distribuita tra molti bambini. Tuttavia non dobbiamo dimenticare che a quell’età i bambini sono in grado di spostarsi negli ambienti con una certa autonomia, cominciano a camminare da soli e a farsi capire. Inoltre, purtroppo, non sempre la famiglia è in grado di offrire quelle condizioni ottimali di crescita che ci augureremmo per tutti. Quindi l’asilo nido, e più tardi la scuola, possono fornire ai bambini che ne hanno bisogno, delle esperienze vicarianti o correttive rispetto a quelle familiari. Comunque, anche quando il bambino cresce in condizioni ottimali, l’allargamento progressivo delle esperienze e dei rapporti rappresenta una grande opportunità di arricchimento e di crescita. Se si riesce a mettere in atto una serie di accorgimenti il nido e la scuola dell’infanzia non costituiscono un trauma, ma solo l’inizio di un percorso che si allargherà progressivamente. Certamente è un processo che va pensato, preparato e accompagnato per prevenire le difficoltà. Più il bambino è piccolo più va aiutato ad inserirsi ed adattarsi al nuovo mondo. D’altra parte, pensiamo alle nostre reazioni emotive quando ci troviamo in un paese sconosciuto o in un nuovo ambiente di lavoro: anche gli adulti infatti vivono una tempesta emotiva all’inizio di una nuova esperienza. Inoltre, per quanto di questo aspetto si parli molto meno, anche per i genitori il primo allontanamento dai figli costituisce un momento critico. Anche loro, infatti (soprattutto il genitore che ha svolto le funzioni materne), possono provare una sensazione di abbandono e di solitudine, possono sentirsi in colpa o “svuotati”; in questo caso l’aiuto del coniuge è fondamentale. È normale che un bambino pianga quando si allontana dal genitore? Quella della separazione è una tematica importante e complessa. Allontanarsi dai propri genitori e dal proprio ambiente è sempre fonte di sentimenti contrapposti, specie all’inizio. Si è attratti dal mondo esterno e da nuove esperienze, e questo suscita aspettative, curiosità e speranza, ma si sente anche il dispiacere e la paura al momento di staccarsi dalla cerchia ristretta degli affetti più intimi. Contrariamente a quanto comunemente si crede, non è invece necessariamente indice di socievolezza il non dispiacersi quando la mamma si allontana e il dare indiscriminatamente la mano a tutti. Certamente non lo è in un bambino piccolo. È naturale infatti che un bambino di un anno, sano e socievole, protesti e pianga se la mamma si prepara a lasciarlo in un ambiente a lui estraneo, come è naturale aspettarsi che un bambino di otto mesi manifesti paura alla vista degli estranei. Infatti, nel primo periodo della vita dei bambini, il compito evolutivo principale consiste nel poter sviluppare la fiducia di base e un saldo legame con le persone che si prendono cura di loro. Ciò vuol dire ricercarne la vicinanza e, in loro presenza, poter esplorare l’ambiente, giocare e imparare, in breve, poter sviluppare curiosità e interesse in condizioni di sicurezza. Va da sé che nessun bambino, da solo, può creare queste condizioni di sicurezza di base. È l’adulto che può farlo e lo farà tanto più facilmente quanto più è saldo il suo mondo affettivo e sono forti i suoi legami interni. Attaccamento e separazione: quale equilibrio? Lo psicoanalista inglese John Bowlby, che ha formulato la teoria dell’attaccamento, ha usato il termine “base sicura” per evocare la qualità del primo legame e la tutela che esso fornisce, una protezione che è insieme fisica e psicologica. Se la qualità della relazione primaria la rende simile ad un sicuro ancoraggio, va da sé che più il bambino è piccolo più rimarrà al suo interno godendone la protezione, ma man mano che cresce potrà distaccarsene per esplorazioni che lo porteranno sempre più lontano. Ciò significa che sia il bambino che i genitori affronteranno la separazione con maggiore serenità e ottimismo, nella fiducia reciproca delle proprie e altrui risorse, e nella prospettiva di ritrovarsi. Come si vede, ciò che viene proposto fin dalle prime esperienze è un modello che, pur nel cambiamento e nell’espansione, resta valido in tutto il corso della vita: il bambino viene incoraggiato dal risultato e, insieme, apprende un procedimento che sostiene la fiducia in se stesso e nel mondo esterno che mano a mano gli si apre dinanzi. In conclusione, la capacità di superare la separazione senza disorganizzarsi affettivamente e senza dover ricorrere a modalità difensive, come l’eccessivo controllo, è un elemento centrale nella struttura della personalità e del carattere ed è alla base dello sviluppo e della crescita. Qual è il significato del pianto? Veder piangere il proprio bambino al momento di una separazione è sempre doloroso per un genitore. Ma dovrebbe essere possibile capire il significato del pianto all’interno della relazione tra quella particolare mamma e quel particolare bambino alla luce dell’età, del carattere, delle condizioni di vita che la caratterizzano. Più il bambino è piccolo, più il pianto è per lui lo strumento principale e il più adatto a comunicare stati di malessere o di preoccupazione. Man mano che il bambino cresce e impara a dare forma con il linguaggio ai propri sentimenti e pensieri, il suo pianto esprimerà, un po’ come avviene per gli adulti, lo sfogo di un insieme di sentimenti e stati interni a volte confusi e difficili da comunicare per la presenza contemporanea di commozione, dolore, turbamento, sconcerto, paura, ma anche di ribellione, ostilità, ecc. Sentimenti che il genitore dovrebbe essere in grado di cogliere. La paura, la ribellione, l’esasperazione hanno sfumature espressive differenti dalla desolazione e dallo scoramento. Soprattutto però è importante cogliere, nel pianto di un bambino, l’elemento della consolabilità: il poter accettare il conforto è un indice importante che rimanda alla forza dell’Io nel tollerare la frustrazione e alla sicurezza della relazione nella quale risiede la chiave per il superamento della crisi. Più il legame tra il genitore e il bambino è saldo e sicuro, più dovrebbe essere a portata di mano il ripristino della fiducia e il recupero della serenità, dell’interesse e della vivacità. Quando, al contrario, il pianto del bambino è veramente inconsolabile, ci troviamo di fronte ad un nodo che il genitore è chiamato a sciogliere, con l’aiuto dei familiari o, se la situazione perdura oltre la ragionevolezza, ricercando un aiuto professionale. Come posso preparare mio figlio alla scuola dell’infanzia? È una giusta preoccupazione, soprattutto se il bambino non ha fratelli o sorelle più grandi che ogni mattina si allontanano da casa. Anche se è andato al nido il bambino può avere idee piuttosto confuse e ha bisogno di capire le differenze, così come succede per ogni cambiamento di scuola. I ricordi e i vissuti dei genitori non sempre sono i migliori consiglieri, perché si possono trasmettere ai bambini sensazioni non corrispondenti alla realtà della scuola che i bambini dovranno frequentare. Perciò bisogna informarsi e conoscere la scuola, andare a visitarla insieme al bambino e poi poter anche immaginare insieme cosa succede là dentro. Incoraggiare il bambino ad essere “grande” va bene, ma bisogna aspettarsi e accogliere le reazioni “da piccolo” anche nel momento in cui la scuola inizia davvero e la casa diventa il luogo dove poter tornare piccolo e bisognoso di coccole. Dopo la preparazione, un periodo di graduale inserimento è fondamentale per incoraggiare il passaggio. Lorenzo Iannotta e Bianca Micanzi Ravagli © Il Pensiero Scientifico Editore

04/07/2007

Centri Clinici AIPPI

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