QUALI PAROLE PER LA GUERRA - PARTE I

 

QUALI PAROLE PER LA GUERRA

di Emanuela Abballe e Livia Aisemberg

 

 

È giusto parlare della guerra ai bambini?

I bambini appartengono al mondo e di esso è giusto che abbiano consapevolezza; la verità è sempre un loro diritto.

È quindi importante che gli adulti parlino ai bambini della guerra, per evitare che, nello spazio vuoto della non risposta e del non detto, vengano a germogliare fantasie e paure ancora più angoscianti.

La guerra è senza dubbio un evento traumatico; i bambini possono non riuscire a gestire e contenere emozioni forti come quelle suscitate dall’idea della guerra stessa e dalle fantasie ad essa associate. E’, dunque, importante che vengano sostenuti ed accompagnati, affinché non si sentano soli nella gestione dei sentimenti di paura, spavento e angoscia.

Non sempre, però, gli adulti sono pronti a farlo; spesso, infatti, sentono di dover proteggere i bambini da quanto di doloroso può accadere, probabilmente perché mossi dalla fatica nel tollerare la sofferenza infantile, nonché dal timore di non saperla accogliere e contenere in modo giusto.

Ma l’evitamento del dolore, il distacco dagli eventi più difficili, non sarà di aiuto al bambino che, anzi, si ritroverà da solo in balìa di quello che sente, facendo anche al contempo esperienza di un adulto spaventato, poco capace di proteggerlo.

Il bisogno del bambino è, infatti, quello di sentire, nell’adulto, la persona alla quale poter chiedere aiuto, con il quale poter condividere i propri vissuti, sentendosi riconosciuto.

L’adulto non può proteggere il bambino dagli eventi dolorosi del mondo, ma può certamente aiutarlo a dare un significato a ciò che lui prova in relazione a questi eventi.

 

Come possiamo parlare di guerra ai bambini piccoli?

Con i bambini in età prescolare l’adulto può mantenere una posizione di osservazione e di ascolto; in questa fascia di età l’idea della guerra è un concetto molto astratto, poco pensabile e non è detto che i bambini ne parlino.

Nel caso in cui lo facessero, è importante che il genitore accolga ciò che il bambino vuole comunicare, senza sminuirne il contenuto, né l’importanza, ma facendolo sentire compreso e sostenuto.

E’ probabile che il bambino abbia appreso solo che c’è una guerra in atto, percependone i vissuti connessi, e che chieda magari chiarimenti a riguardo. La guerra si potrebbe, allora, presentare come conseguenza di una grande difficoltà, di alcuni adulti, nell’andare d’accordo, tale da provocare forti sentimenti di rabbia e da sfociare, appunto, nel conflitto.

Il bambino potrebbe “parlarci” e chiederci della guerra anche senza le parole, in maniera cioè indiretta, ma non per questo meno potente. Il gioco, il disegno, alcuni cambiamenti nei comportamenti (preoccupazioni prima assenti, come quella per i suoni forti; difficoltà a separarsi dai genitori; ecc) sono importanti indicatori per gli adulti che “ascoltano”.

E’ controproducente utilizzare, in questo caso, confronti con esperienze di vita da lui stesso vissute, ad esempio, paragonando la guerra e il conflitto alle accese discussioni che il bambino vive con i compagni o alle tensioni che quotidianamente si creano tra coetanei.

Questo paragone, infatti, potrebbe comportare in lui una certa confusione, nonché generare preoccupazione e/o senso di colpa per le dinamiche che comunemente vive e per gli atteggiamenti che lui stesso mette in atto.

La guerra è un comportamento profondamente distruttivo e dannoso, agito dagli adulti; qualcosa, dunque, di molto distante da ciò che attiene al mondo e al pensiero del bambino.

In questa fascia d’età, il bambino ha bisogno di ricevere molte rassicurazioni; pur riconoscendo che si tratta di una situazione seria, è importante evidenziare come lui si trovi al sicuro, in un ambiente lontano dal pericolo. Potrebbe essere utile spiegargli anche che si stanno attivando tutti gli aiuti possibili, affinché venga presto ripristinata la pace.

 

Come possiamo parlare di guerra ai bambini più grandi?

Quando un bambino in età scolare ci chiede della guerra (perché magari ne ha sentito parlare a scuola) è importante per prima cosa ascoltare cosa vuole comunicarci e cosa già conosce dell’argomento, evitando di fornirgli ulteriori dettagli, se non direttamente richiesti.

Sovraccaricarlo di notizie ed elementi drammatici (come un’eccessiva esposizione ai notiziari), ma anche di nostre riflessioni e osservazioni (magari politiche, economiche, ecc), rischierebbe solo di “riempirlo” di contenuti complessi, di difficile gestione emotiva per lui.

Il bambino potrebbero sentirsi pervaso da un senso irrazionale di angoscia; la guerra rappresenta  una paura reale e concreta, imprevedibile, qualcosa che potrebbe colpire da un momento all’altro, nel qui ed ora.

Spetta all’adulto il ruolo di “tradurre” quanto accade in un linguaggio adatto al proprio bambino.

Forse la guerra potrebbe essere descritta come la difficoltà, di alcune persone, nel trovare un accordo (su ciò che vogliono, su ciò che per loro è importante o corretto), tale da generare un conflitto forte. Come un modo sbagliato per risolvere un conflitto per cui, invece che dialogare e comprendersi, si arriva ad uno scontro aggressivo.

Si potrà, quindi, ricorrere ad un linguaggio libero da parole troppo perturbanti, come “bombe, distruzione, attacchi e morte”. E questo non perché non siano attinenti alla realtà, ma perché potrebbero non essere ancora pensati e pensabili dal bambino.

La morte stessa è parte della guerra e, in quanto tematica, non va evitata a priori; è importante, però, non proporla anticipatamente, ma attendere che sia eventualmente lui ad associarla.

Il bambino ha bisogno di trovare uno spazio di ascolto e di attenzione per i suoi pensieri, le sue curiosità e riflessioni, e di fare esperienza che l’altro (l’adulto) non funga da portavoce di una “verità assoluta”. Perché ciò che conta non è la “verità”, ma come gli eventi vengono vissuti e pensati, che ripercussione hanno nel mondo interno del bambino.

Sarà quindi importante rispondere solo a ciò che lui realmente chiede e accogliere ciò che lui sente, lasciando sempre aperto il varco delle domande e della condivisione, senza pressioni.

Dare un tempo, al bambino, per poter “digerire” e gestire tutto quello che sta provando, senza forzarlo nel tornare sull’argomento ma lasciando a lui la possibilità di farlo quando, e se, si sente pronto.

Ogni bambino ha il suo tempo ed è il genitore che segue il suo ritmo, accompagnandolo.

Rispettando eventualmente anche i suoi silenzi e il suo desiderio di non sentirne parlare.

E proprio il silenzio assume un valore importante, dai molteplici significati.

Il bambino potrebbe celarsi nel silenzio quando l’impatto angosciante degli eventi blocca ogni forma di pensiero e, quindi, di “traduzione in parole”.

Ma il silenzio potrebbe essere anche un tempo funzionale per lui, per “proteggersi” dal confronto con un genitore troppo angosciato o spaventato, come se “restando in silenzio, posso preservarmi dal sentire il dolore e la paura degli adulti”.

Spesso, infatti, soprattutto in situazioni traumatiche come la guerra, il bambino può divenire ricettacolo delle paure e delle ansie degli adulti; il genitore, infatti, mosso dalle proprie preoccupazioni e dal timore di non riuscire a sostenere quelle del figlio, potrebbe “spostare” (proiettare) questi vissuti sul bambino stesso, faticando nell’alimentare, quindi, sentimenti di fiducia e speranza.

In questo senso, il rischio per l’adulto è di perdere il contatto con il bambino “reale”, con ciò che “realmente prova”; per il bambino, di sentirsi invaso da contenuti non propri.

“Sintonizzandosi”, invece, con il bambino reale, l’adulto può offrirgli scambio, ascolto e comprensione profonda, accogliendo e contenendo vissuti davvero suoi.

Potrebbe, infine, essere utile aiutare il bambino a non identificare le due parti del conflitto come “i buoni e i cattivi”, aiutandolo invece a comprendere quanto, anche la parte apparentemente “più forte” o più desiderosa di combattere, sia essa stessa vittima della guerra, perché formata da molte persone contrarie al conflitto e che soffrono per questa situazione. Il bambino potrebbe, così, fare esperienza di quanto la guerra, nella sua potenza e distruttività, non abbia mai dei veri vincitori, privando invece tutti di qualche cosa.

18/03/2022

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