Parola chiave: comprensione di L. Iannotta e B. Micanzi Ravagli

Parola chiave: comprensione

 

È possibile affermare il proprio punto di vista senza prevaricare gli altri?


La fermezza è un segno di forza di carattere? Da dove provengono certi atteggiamenti? Che cosa bisognerebbe fare in questi casi? Perché in adolescenza si tende alla provocazione? È possibile affermare il proprio punto di vista senza prevaricare gli altri? Molte persone ritengono che sia impossibile, infatti, pur non rendendosene conto, cercano di imporre agli altri le proprie idee e si stupiscono delle continue incomprensioni che ne derivano e che rendono la loro vita piena di difficoltà. Decisioni banali, come la scelta di un programma alla TV o una gita domenicale, danno luogo a interminabili discussioni o degenerano in veri e propri litigi. Nella vita lavorativa le cose possono andare anche peggio: è rara l’armonia in un gruppo di lavoro mentre sono frequenti le incomprensioni e gli scontri verbali. Eppure tutti concordano nel pensare che è giusto sostenere le proprie idee. Perché alcuni riescono a farlo ed altri si ritrovano da soli contro tutti? La parola “chiave” in simili situazioni, è “reciprocità”: anche l’altro è attaccato come noi al proprio punto di vista, se ce ne rendiamo conto e ci chiediamo il perché, molti nodi si possono allentare e la soluzione del problema diventa possibile. Purtroppo a volte non ci rendiamo conto che le relazioni con gli altri sono inquinate dalle nostre esperienze passate e dalla nostra rigidità che ci fa respingere il punto di vista altrui senza neanche ascoltarlo. In questi casi arriviamo a chiederci come mai gli altri ci sono costantemente contro. Ascoltare e cercare di capire la natura del legame che ci unisce o ci contrappone all’altro non significa necessariamente rinunciare al proprio punto di vista. Occorre distinguere tra lo stile autoritario, con cui si tende ad affermare se stessi ad ogni costo, e la fermezza, necessaria a portare avanti un progetto sia esso di vita o di lavoro. La fermezza è un segno di forza di carattere? Certamente la fermezza è un segno di forza di carattere ma non ha niente a che vedere con la rigidità e l’irremovibilità. Al contrario, la fermezza è connessa con la determinazione, che per realizzare i propri progetti, richiede tolleranza alla frustrazione, perseveranza e flessibilità. Le stesse qualità che sono indispensabili a mantenere buone relazioni interpersonali all’insegna della libertà e tolleranza. A volte la determinazione viene confusa con l’ostinazione e non sempre si comprende che un “no” irremovibile nasce dall’incapacità di tollerare le frustrazioni e dall’ansia rispetto alle proprie capacità e prerogative, ansia che ci rende suscettibili e ci imprigiona in un circolo vizioso. Il puntiglio e la rabbia non garantiscono il successo e la popolarità, ma al contrario aumentano nelle persone il senso di isolamento e il rancore. Da dove provengono certi atteggiamenti? Fanno parte del carattere e affondano le loro radici nell’infanzia: quando un bambino è molto suscettibile, intollerante a qualunque richiesta venga dagli altri, quando adotta spesso comportamenti di sfida e di provocazione, allora forse sta mostrando la sua difficoltà a stare bene con se stesso e a trovare il modo per andare d’accordo con adulti e coetanei. In alcuni casi i bambini diventano dei piccoli dittatori all’interno della famiglia o a scuola: si sentono facilmente maltrattati e se vengono contrariati hanno veri e propri scoppi di ira. Non accettano di rimandare la soddisfazione di un desiderio o anche non tollerano che vengano fatte loro delle richieste. In questo caso il loro “no” rappresenta una difficoltà ad accettare i limiti e le frustrazioni che impone la crescita e l’interdipendenza tra le persone. Che cosa bisognerebbe fare in questi casi? Occorre rendersi conto che è difficile per un bambino risolvere da solo una situazione così difficile che, se perdura, rischia di compromettere le relazioni familiari e sociali. È infatti universalmente accettato che le esperienze compiute nell’infanzia hanno un'influenza determinante sullo sviluppo del carattere e sui rapporti sociali. Vediamo i rischi che i genitori corrono più facilmente: da una parte c’è la tentazione di impegnarsi in un braccio di ferro, dove ciò che conta non è modificare la situazione, ma dimostrare chi è più forte. All’altro estremo c’è la resa incondizionata: il lasciare cioè che il bambino si arrangi e faccia ciò che vuole. È questo un rischio altrettanto grave in quanto, dopo la prima esultanza, probabilmente egli si sentirà abbandonato a sé stesso, in balia di emozioni più grandi di lui, che lo fanno sentire “cattivo” e che non gli permettono di vivere bene con gli altri…Un atteggiamento di comprensione da parte dei genitori non esclude affatto la chiarezza e la determinazione nel mantenere il proprio ruolo e le proprie convinzioni. Perché in adolescenza si tende alla provocazione? La fase adolescenziale è per sua natura un periodo di emancipazione che a volte è attraversato da comportamenti provocatori o di forte opposizione. Tra i compiti dell’adolescenza c’è quello di differenziarsi dai genitori che fino a quel momento hanno rappresentato il principale punto di riferimento. I ragazzi possono affrontare questo compito anche affermando che pensano e agiscono diversamente dagli adulti. Durante l’adolescenza il carattere, ossia la complessità emozionale e comportamentale che differenzia la persona e che risulta essere relativamente stabile e prevedibile, è però ancora in via di definizione. Anche in questo caso sarebbe bene proporre una migliore comprensione del messaggio che l’adolescente trasmette al genitore: la provocazione, infatti, può inscriversi in un movimento di ricerca di identità oppure essere la risultante di forze interne non consapevoli. Lorenzo Iannotta e Bianca Micanzi Ravagli © Il Pensiero Scientifico Editore

04/07/2007

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