Il mio bambino presenta una patologia cronica. di Daria Ricciardi

IL MIO BAMBINO PRESENTA UNA PATOLOGIA CRONICA

 

a cura di Daria Ricciardi

 

 

     Le riflessioni che seguono sono il frutto di un approfondimento intorno alle specifiche condizioni vissute dai bambini con patologia fisica cronica e dalle loro famiglie. Ci riferiamo a bambini che possono presentare cardiopatie, diabete infantile, fibrosi cistica, e in generale condizioni patologiche croniche con le quali convivere.

    Non facciamo specifico riferimento, in questa sede, a condizioni di invalidità psico-fisica permanente, di cui ci occuperemo in seguito.

 

                  Perchè il mio bambino è diverso?

 

sono spesso in ansia per la salute fisica del bambino che sta per nascere. Mettere al mondo un figlio sano è un sollievo e una grande gioia per i genitori. Ci si sente grati del fatto che il proprio bambino possa affacciarsi al mondo esterno con un buon equipaggiamento di partenza.

                  Se il bambino non è sano, invece, ci si può sentire colpiti da una sorte avversa, che incombe con un carico di angoscia su di lui e sulla sua famiglia.“Perchè proprio mio figlio?” è un interrogativo doloroso che spesso è difficile condividere, e che esprime il sentimento di aver subito una profonda ingiustizia. E' possibile avvertire un intenso e opprimente bisogno di cercare una sorta di risarcimento, che illusoriamente possa alleviare questi sentimenti. Tale condizione rischia però di accentuare il sottostante vissuto persecutorio nel rapporto con gli altri e nei diversi contesti di vita, esponendo a delusione, rabbia, depressione.

                  E' dunque indispensabile affrontare un lavoro mentale di elaborazione. Per questo è indispensabile affrontare le angosce e i sentimenti di perdita. Vi è il dolore per non aver messo al mondo un bambino sano, che può comportare sentimenti di inadeguatezza, di colpa, e in molti casi anche il lutto legato alle scarse possibilità di guarigione da parte del bambino.           

                  Accettare fino in fondo la realtà che la malattia non è una colpa né una punizione è già un importante risultato, perché può permettere di guardare al mondo esterno con maggiore fiducia.

                  Questo difficile processo di elaborazione ha il fine di recuperare le risorse interne da parte di entrambi i genitori, sia individualmente che insieme. Riuscire a comunicare e condividere con l'altro i propri stati d'animo è l'espressione di un buon equilibrio all'interno della coppia, che può permettere di cercare insieme di volta in volta le migliori modalità di adattamento.

                  E' dunque indispensabile fare tutto il possibile per mettere in moto tale processo di elaborazione: la rabbia e il senso di persecuzione sono sempre intercettate dal bambino, e rischiano di rinforzare o colludere con analoghi sentimenti presenti in lui. Il mondo esterno – la scuola, il gruppo dei coetanei – può essere dunque sentito dal bambino come pericoloso e ostile, spingendolo a rifugiarsi in famiglia anziché cimentarsi nello sviluppo secondo le potenzialità di cui dispone.

                 

 

                  Quasi sono i vissuti e le reazioni più comuni nei genitori?

 

                  Di fronte al proprio figlio che cresce, il genitore può oscillare fra un sentimento di impotenza – non posso far nulla per mio figlio – ed uno di onnipotenza – con il giusto aiuto mio figlio sarà uguale agli altri.

                  Il senso di impotenza nasce dall'impossibilità di aver potuto proteggere il figlio nel passato, e dal non potergli risparmiare nel futuro la presa di coscienza e il contatto con la propria diversità rispetto ai coetanei. L'onnipotenza costituisce una modalità per proteggersi dall'intensa sofferenza legata alla condizione di cronicità della malattia, ma comporta dei rischi: può impedire al genitore di accettare, da un lato, i limiti dell'intervento medico, dall'altro i limiti del bambino stesso. Affidarsi ad una convulsa ricerca di stimoli, di situazioni sociali, di contatti, è finalizzato soprattutto ad allontanare l'angoscia di esclusione, il senso di solitudine e la pena. Invece, riuscire ad accettare la realtà della patologia, senza negare i limiti che essa impone, può diventare il motore per trovare nuove risposte, più adatte alle esigenze del proprio figlio.

                  Bisogna essere pronti ad affrontare i nuovi interrogativi e le nuove paure del bambino, che possono scaturire in momenti successivi della crescita. La malattia, infatti, viene vissuta e compresa in modalità diverse a seconda dell'età del bambino. E' estremamente importante che il genitore accolga le domande del bambino: aiutarlo a comprendere quali siano i suoi veri bisogni lo aiuterà a sentirsi attivo, partecipe e capace di trovare insieme delle soluzioni ai problemi che incontra.

 

                  Come posso aiutarlo nelle difficoltà?

 

                  Un punto di partenza, niente affatto scontato per un genitore, consiste nell'impegnarsi a distinguere la propria pena da quella del figlio, per evitare di caricarlo involontariamente delle proprie preoccupazioni aggiungendole alle sue. Occorre rendersi conto che gli strumenti di comprensione ed elaborazione che la maturità offre ai genitori, in quanto persone adulte, non sono ancora disponibili per il bambino, che ha dunque bisogno di una accoglienza rispettosa e sensibile. E' importante mantenere viva la speranza nella crescita e nello sviluppo del proprio bambino, aiutandolo a riconoscere e valorizzare le risorse di cui può disporre, senza cedere a facilitazioni eccessive per proteggerlo dal confronto con il mondo esterno.

                  Nelle condizioni di malattia cronica, le terapie mediche entrano spesso nella quotidianità del bambino e del ragazzo, e non è insolito incontare da parte sua dei moti di opposizione e rifiuto. E' importante aiutarlo ad accettare le cure mediche, tentando nel tempo di renderlo attivo e partecipe secondo le sue possibilità. Le terapie tendono inevitabilmente a scatenare nel bambino vissuti di intrusione e passivizzazione, seppure con qualità e gradienti variabili nelle diverse situazioni cliniche. Il bambino tenderà ad accettare le sue terapie nella misura in cui saranno i genitori stessi a farlo, sopportando la frustrazione e la sofferenza che esse possono scatenare.

 

                  In caso di difficoltà a scuola o in altri contesti, il bambino chiederà aiuto spontaneamente se in famiglia c'è confidenza. E' importante parlare subito del problema in questione con gli insegnanti, i compagni o gli altri genitori per coinvolgere e responsabilizzare la comunità.

 

 

                  Ho paura di non avere altri figli sani

 

                  E' possibile che i genitori si sentano talmente schiacciati dalla paura di non poter avere altri figli sani, da rinunciarvi del tutto, malgrado accurate indagini mediche possano aiutare a fugare questo tipo di angosce. Avere altri figli sani, d'altro canto, costituisce una rassicurazione rispetto alle proprie capacità procreative, e attenua l'ansia per il futuro del proprio bambino con patologia, che potrà ricevere aiuto dai fratelli. E' opportuno anche spiegare agli altri figli quali sono le condizioni mediche del fratello favorendo la loro solidarierà, senza caricarli di eccessive responsabilità e riconoscendo i loro diritti di bambini sani.

 

                  A cosa serve la psicoterapia?

 

                  La psicoterapia costituisce uno strumento utile sia per i genitori che per il bambino.

                  Essa non è solo una risposta ad una condizione di disagio, ma anche una forma di prevenzione di patologie successive, poiché spinge verso l'elaborazione e l'integrazione delle esperienze difficili e dolorose, aiutando la persona a riconoscere le proprie risorse e a potenziarle. L'obiettivo cui tende è la miglior qualità della vita possibile, tenendo conto dei bisogni speciali del bambino.

                  Per la coppia di genitori, riuscire a parlare dei propri vissuti alla presenza di un professionista costituisce un'esperienza molto importante: aiuta, nel corso del tempo, a percepire il mondo esterno con più chiarezza, meno gravati dalle proprie angosce, fugando il rischio di chiudersi in una condizione di isolamento che alimenta vissuti persecutori; aiuta altresì a riconoscere e ad approfondire sia i propri vissuti individuali che quelli del partner, sostenendo la capacità di aiuto e sostegno reciproco nelle inevitabili difficoltà.

                  Inoltre, se i genitori riescono ad accettare la condizione di malattia del figlio e ad ristabilire un rapporto equilibrato col mondo esterno, il bambino stesso sarà portato ad assecondare la sua naturale spinta all'integrazione, cimentandosi nelle sfide che la crescita impone a tutti i bambini, anche nelle reciproche differenze.

                  Per il bambino, la psicoterapia costituisce uno spazio in cui depositare i suoi vissuti intorno alla propria condizione, in particolare quelli che possono interferire con il suo sviluppo mentale e affettivo. Il desiderio di risparmiare sofferenza ai propri genitori può impedire al bambino di comunicare il proprio dolore e la propria rabbia e, quindi, di poter ricevere aiuto e sollievo. Inoltre, la psicoterapia permette al bambino di scoprire le potenzialità e le risorse presenti dentro di sé, in termini di capacità di pensiero, creatività e progettualità. Per i genitori stessi accorgersi di tali risorse e ricchezze presenti nel proprio bambino malato può rappresentare una vera e propria scoperta. Infine, quando in fasi successive della crescita ci si accosta al passaggio in adolescenza, in cui la condizione di diversità può tendere ad assumere una tonalità persecutoria, la presenza di uno spazio di psicoterapia rappresenta una forma di prevenzione rispetto allo sviluppo di forme di sofferenza psichica più acuta. 

01/06/2019

Centri Clinici AIPPI

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