Il mio bambino è un po' capriccioso... di Piera Ricciardi ( 24.01.2014)

Il mio bambino è un pò capriccioso...
di Piera Ricciardi

 

1.  Che cos’è un capriccio?

 

Il capriccio, per definizione, è una voglia improvvisa e bizzarra, spesso ostinata, anche se di breve durata, per cui si dice degli adulti, “incapricciarsi” di qualcosa o di qualcuno. I capricci dei bambini, hanno caratteristiche ancora più accentuate di impulsività e irragionevolezza spesso collegata a un senso di fastidio indefinito, di irritazione, di contrarietà, a cui talvolta seguono scoppi di collera. Il capriccio, nell’infanzia, rappresenta una modalità attraverso la quale esprimere con insistenza un desiderio singolare, inspiegabile in quel preciso momento, assumendo quindi, nell’immediato, la connotazione di un comportamento irragionevole e arbitrario. I genitori possono sentirsi presi alla sprovvista e messi a dura prova da manifestazioni eclatanti come pianti e urla disperate per motivi irrilevanti. Questi comportamenti, suscitano come prima reazione una forte irritazione nell’adulto il quale cerca di fare ricorso a un modello educativo, prima ancora di soffermarsi a comprenderne il  significato. Ma, a una più attenta riflessione, il capriccio di un bambino è prima di tutto la manifestazione di un’emozione: uno scoppio di rabbia, o più semplicemente uno sbalzo d’umore, che va compreso e contenuto. Soprattutto per i bambini più piccoli il capriccio rappresenta uno dei mezzi di comunicazione più frequenti, ed è senz’altro preferibile a quella modalità opposta che è il chiudersi in sé stesso.

 

2. Come devono essere letti i capricci dei bambini?

 

Se consideriamo la valenza comunicativa dei capricci, il loro significato è, nel momento in cui si manifestano, spesso sconosciuto non solo all’adulto, ma anche al bambino stesso. E’ per questo che i capricci possono rappresentare l’occasione di vedere impegnati genitori e bambino nella ricerca condivisa di un significato, di un comprendere insieme cosa succede. Un comportamento singolare come il capriccio, sorprende gli adulti perché viene messo in atto in maniera improvvisa, lasciando quindi poco spazio ad una comprensione immediata. Ma l’incapacità di comprendere cosa sta accadendo viene sperimentata prima di tutto dal bambino che si trova a vivere uno stato emotivo di forte incertezza, difficile da gestire in quella data situazione, e che ricerca, sia pure in questo modo improprio, l’attenzione e l’aiuto dei genitori per superare  la difficoltà che sta vivendo.

 

Una vivace protesta, un pianto, un urlo o un battere i piedi a terra, possono quindi avere significati diversi che vanno dalla richiesta di attenzione al mettere alla prova la capacità dell’adulto di ascoltare e di tollerare delle esplosioni emotive così violente.

 

Il bambino può anche voler verificare quanto potere è in grado di esercitare sull’adulto. In questo caso è necessario che il genitore sia fermo e coerente per trasmettere al proprio figlio il necessario contenimento. Attraverso i limiti e le regole, infatti, il bambino viene aiutato a fronteggiare la forte angoscia che deriva dal timore di essere lui il più potente all’interno della relazione con i genitori. In ogni caso il capriccio deve sempre contestualizzato, capito in base alle diverse situazioni e mai esasperato. Non va dimenticato che il bambino può in questo modo esprimere una richiesta d’aiuto, magari di fronte ad una situazione per lui davvero difficile da affrontare o tale da suscitare troppa paura.

 

3. C’è una fase del capriccio?

 

Premesso che ad ogni età i bambini sviluppano le loro peculiari modalità di comunicare, di opporsi o di reagire ad una frustrazione, dai due anni in poi i pianti e le proteste iniziano a svincolarsi dalle situazioni di bisogno in cui inizialmente sono nati, per essere estesi anche ad altre circostanze, al servizio di nuove esigenze di autoaffermazione e di indipendenza. E’ proprio in questo periodo, infatti, che il bambino si rende conto che con le sue proteste ottiene qualcosa, ed è quindi portato a sperimentare queste nuove modalità specie con la mamma che, nella maggior parte dei casi, si occupa dei suoi bisogni primari. Questo periodo si caratterizza come la fase del “no”, con cui il bambino ricerca una prima forma di indipendenza attraverso la contrapposizione, una indipendenza  che si manifesta anche con l’esprimersi in prima persona, attraverso il pronome “io”. E’ una fase impegnativa per i genitori, che si trovano a fronteggiare questi  nuovi bisogni del loro bambino, a volte espressi in opposizione alla loro autorità. Ma la fase del “no”, non è necessariamente quella dei capricci, che sono, come si è detto, una cosa ben diversa.

 

Tra i tre e i cinque anni, in concomitanza con la fase edipica, l’atteggiamento di sfida viene rivolta per lo più al genitore dello stesso sesso e i capricci hanno sempre più a che fare con la gestione delle emozioni. E’ in questa fase che le regole imposte dall’adulto iniziano ad essere interiorizzate assumendo l’importante funzione di autocontenimento.

 

4. Come vanno affrontati i capricci dei bambini?

 

A questa domanda non è facile rispondere perché, come è noto, le ricette non esistono e le risposte vanno trovate all’interno di ogni singolo rapporto. Tuttavia ci sono cose che non si devono fare, perché inutili e dannose: non si devono raccogliere le provocazioni e non si deve esasperare il clima del rapporto. Ciò significherebbe abdicare alla funzione di genitore e mettersi sullo stesso piano del bambino in difficoltà.

 

Nella pratica i genitori spesso sono tentati di scegliere tra due possibili alternative molto in contrasto tra loro: reprimere o cedere e assecondare. A volte quindi essi rispondono con eccessiva durezza al capriccio del bambino, rimproverandolo o punendolo, oppure al contrario lasciano  correre, dimostrando troppa permissività. In linea generale, bisognerebbe trovare un giusto equilibrio, quindi concedere qualcosa, tenendo però ferme anche alcune regole di carattere generale. Ma questo sarà più facile se, come si è detto fino ad ora, si cerca prima di tutto di capire, di calmare e contenere, cosa che –è bene ripeterlo- non vuol dire cedere. Questi aspetti sono alla base di un atteggiamento genitoriale fermo e coerente, che è la cosa più necessaria al bambino, per cui, se, si prende una certa posizione, bisogna portarla avanti senza troppi ripensamenti. In ogni caso il genitore deve mantenere salda la propria immagine di autorevolezza, perché il contenimento e i limiti sono necessari al bambino. Se il genitore comprende che il capriccio ha a che fare con un’esplosione emotiva, egli, pian piano, può far capire al proprio figlio che la rabbia o un'altra forte emozione può essere espressa anche in altri modi, ad esempio attraverso le parole.

 

5. C’è differenza tra i capricci e alcune piccole manie dei bambini?

 

Alcuni comportamenti dei bambini possono essere erroneamente considerati dei capricci. Ad esempio il bambino può essere molto legato ad un determinato oggetto o giocattolo, per cui non riesce a farne a meno, richiedendo con ostinazione di portarlo sempre con sé in diverse situazioni. L’aspetto richiedente e ostinato di questo comportamento potrebbe far pensare che si tratti di un capriccio. Un esempio è quello del bambino che si rifiuta di andare a dormire senza il suo orsacchiotto, come se davvero non riuscisse ad addormentarsi senza di esso. Questa richiesta non è un capriccio.  I bambini spesso ricercano sicurezza attraverso una routine o un’abitudine che hanno una vera e propria valenza consolatoria. Donald  Winnicott parla di oggetto transizionale per riferirsi proprio a quegli oggetti materiali su cuiil bambino riversa emozioni, bisogni e desideri. Questo oggetto “speciale” da cui il bambino non può separarsi rappresenta qualcosa che ha a che fare con l’unione con la madre, e che gli permette quindi di tollerare l’angoscia derivante dal sentirsi separato da lei.

24/01/2014

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