Figli a scuola: quali ansie? di C. Mezzalama e L. Mercuri

Figli a scuola: quali ansie?

 

 di Chiara Mezzalama e Laura Mercuri

 

Prima elementare: mio figlio riuscirà a cavarsela da solo?

 

L’inizio della scuola primaria, ancor più dell’ingresso alla materna, è fonte di ansie di varia natura per tutti i genitori; la principale sembra essere quella relativa alla “solitudine” del bambino in un ambiente estraneo e con insegnanti esigenti. Il figlio, considerato fino a quel momento un’estensione della famiglia, al cui interno si sente protetto e guidato, si trova a dovere affrontare una realtà nuova e sconosciuta che, secondo alcuni genitori, potrebbe apparirgli minacciosa. In realtà, almeno nella maggioranza dei casi, a sei anni un bambino possiede già tutti gli strumenti emotivi ed intellettivi necessari ad inserirsi con relativa facilità in un ambiente dove la sua naturale tendenza al confronto con i pari verrà soddisfatta e dove riceverà gli stimoli necessari a sviluppare la sua curiosità e creatività, stimoli che la famiglia, da sola, non è più in grado di garantirgli. Ciò che spaventa i genitori, in maniera spesso inconsapevole, è l’idea che, per la prima volta, il proprio figlio vedrà il mondo dalla “sua” prospettiva, dalla quale essi sono, di fatto, esclusi. A volte, difficoltà di inserimento di un bambino nell’ambiente scolastico che si protraggono nel tempo, derivano più da questo timore dei genitori che non dalla reazione del bambino stesso.

 

La scuola sarà in grado di proseguire un percorso educativo già avviato?

 

Uno dei timori più diffusi tra i genitori è che la scuola non possa garantire al proprio figlio un ambiente idoneo alla crescita simile a quello che loro hanno faticosamente cercato di costruire intorno a lui. Con ambiente si intende l’insieme dei valori trasmessi dalla famiglia, una certa visione del mondo, un certo clima emotivo che il bambino è stato abituato a respirare fin dalla nascita. Ciò si traduce nella ricerca, spesso spasmodica, della scuola “giusta”, dell’insegnante “giusta” (quella di cui si è tanto sentito parlare), della sezione migliore… In realtà questo timore, apparentemente giustificabile, nasconde quasi sempre una convinzione diffusa, ancorché non espressa; quella che solo i genitori del bambino siano in grado davvero di capire ciò di cui lui ha bisogno. Quel che si richiede ai genitori per uscire da questo vissuto di insicurezza è di avere fiducia negli strumenti che il proprio amore e la propria dedizione hanno fornito al bambino fino a quel momento, tali da aiutarlo ad orientarsi in una realtà nuova e diversa come quella della scuola.

 

Cosa fare se il bambino non racconta cosa fa a scuola?

 

L’ingresso nella scuola può essere considerato come una metafora della crescita, intesa come messa alla prova, da parte del bambino, di tutti quegli strumenti intellettivi ed emotivi acquisiti durante i primi anni della sua vita. È naturale ed opportuno che il bambino consideri il tempo trascorso a scuola come un tempo “suo”, in cui sperimentarsi nel confronto con gli altri suoi pari e con gli insegnanti, primi adulti che non appartengono alla cerchia abituale della propria famiglia. Insistere per conoscere nei particolari il modo in cui il bambino ha occupato il “suo” tempo può provocare in lui una reazione di chiusura che il genitore può interpretare come il tentativo di sfuggire al suo legittimo controllo. Meglio invece creare, insieme al bambino, un clima aperto di condivisione delle esperienze, magari il genitore può raccontare per primo cosa ha fatto durante la giornata e lasciare al bambino la libertà di riferire ciò che ha fatto quando ne avrà voglia.

 

È giusto preoccuparsi fin dall’inizio del rendimento scolastico del bambino?

 

Il voto è considerato la prima prova evidente del riuscito, o mancato, adattamento di un bambino alle richieste che il contesto sociale avanza nei suoi confronti quando inizia ad andare a scuola. Ciò può indurre i genitori a fare pressioni sul bambino perché si dimostri un bravo scolaro, nella convinzione che buoni voti possano testimoniare il successo del loro metodo educativo e, in qualche modo, predire il futuro successo del figlio in un mondo del lavoro che diventa ogni giorno più competitivo. Il voto però andrebbe considerato nel suo valore relativo, di indicazione e stimolo all’acquisizione di nuove conoscenze, e non diventare il simbolo di una riuscita o di un fallimento, condensando in sé tutto il significato dell’esperienza scolastica del bambino. Ciò che conta soprattutto è che la scuola stimoli la curiosità del bambino e lo accompagni nella sua progressiva conoscenza del mondo che lo circonda.

 

Come sapere se mangia abbastanza in mensa?

 

La grande diffusione del “tempo pieno” fa sì che molti bambini consumino ormai uno dei principali pasti della giornata a scuola. Ciò è spesso fonte di preoccupazione per i genitori, che non possono verificare direttamente quanto e cosa il bambino abbia mangiato, in una fase della vita del piccolo in cui l’alimentazione è cruciale per la sua salute e per la sua crescita. Il legame madre-bambino si fonda sull’esperienza del nutrire-essere nutrito, e l’alimentazione diventa simbolo di cura e amore, rivestendo numerosi significati e vissuti emotivi profondi. Quando l’area alimentare è già per i genitori fonte di ansie e paure, queste possono riflettersi sulla scuola. Se questo avviene si rischia di “riempire” il bambino di domande per non ottenere che alcune evasive risposte, del tutto insoddisfacenti. Il difficile compito del genitore consiste proprio nel poter tollerare la frustrazione del non sapere e non poter controllare, senza tuttavia rinunciare a seguire il bambino: basterà confidare nelle competenze degli insegnanti che considerano ormai il pasto parte integrante del momento educativo e accettare che non sempre il piccolo abbia mangiato tutta la verdura!   ___________________________________________________________________________________

04/07/2007

Centri Clinici AIPPI

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