Chi ha paura dei no? di C. Mezzalama e L. Mercuri

Come sono cambiati i ruoli all’interno della famiglia?


Ha ancora senso parlare di funzione “materna” e funzione “paterna”? Sono cambiate anche le regole? Chi è che dice no? Come orientarsi tra severità e permissivismo?

Come sono cambiati i ruoli all’interno della famiglia? I ruoli tradizionali all'interno della famiglia prevedevano una mamma che accoglie, accudisce, contiene e consola, e un papà che stabilisce le regole, definisce i limiti e tiene i rapporti con il mondo esterno. Per ogni ruolo una funzione chiara e precisa: la mamma custodisce la casa e si prende cura dei bambini, il papà mantiene la famiglia e prende le decisioni importanti, anche relativamente all’educazione dei figli. Oggi questa corrispondenza tra ruoli e funzioni è venuta meno, e le madri si trovano spesso ad esercitare delle funzioni attribuite tradizionalmente ai padri e viceversa. Ha ancora senso parlare di funzione “materna” e funzione “paterna”? Le mamme continuano a mantenere la capacità di accogliere e consolare i figli, ma il loro ruolo non si esaurisce più soltanto in questa funzione: le donne oggi lavorano fuori casa, sono spesso economicamente autonome e ciò consente loro di prendere decisioni importanti e di rappresentare per i figli quell’autorità che veniva attribuita un tempo in maniera quasi esclusiva ai padri. Parallelamente un papà costituisce sempre un punto di riferimento per i figli, ma può oggi dedicarsi all’accudimento e al sostegno emotivo anche grazie alla maggiore quantità di tempo che trascorre in casa, senza aver paura di perdere la sua autorevolezza. Questo aumento della flessibilità dei ruoli costituisce una grande risorsa per la famiglia contemporanea, che può così più facilmente adattarsi alle nuove realtà sociali e lavorative. Sono cambiate anche le regole? Questa maggiore elasticità dei ruoli e delle funzioni condiziona inevitabilmente anche la definizione delle regole e dei confini che si stabiliscono nell’educazione dei figli. Le maglie strette del controllo e della disciplina si sono allentate, lasciando spazio al dialogo e alla mediazione tra le parti. Non c’è più l’imposizione, ma la ricerca del compromesso. I confini si sono allargati, a favore di un più stretto contatto emotivo e di un clima familiare più rilassato, in cui anche i figli, fin da piccoli, possono esprimere la loro opinione e gestire se stessi con più autonomia, partecipando all’organizzazione della famiglia e alle sue decisioni. Questo nuovo modo di intendere le regole conduce i figli ad una precoce responsabilizzazione coinvolgendoli, a differenza del passato, in tutte le scelte che li riguardano. Questo però presuppone che essi sappiano già ciò che è meglio per loro, cosa che non è così scontata. Chi è che dice no? Il no, inteso come divieto o come restrizione, viene oggi usato dai genitori in maniera sempre meno frequente. Si preferisce giungere ad un accordo, ad un compromesso tra regole degli adulti ed esigenze dei bambini, ricorrendo al dialogo, alla spiegazione del divieto, giungendo per piccoli passi a convincere i figli della sua necessità. In altri casi, poi, l’opportunità o meno di istituire una regola viene messa in discussione dagli stessi genitori, timorosi di essere considerati eccessivamente severi. In tal caso il dialogo con i figli verte sull’argomento in questione, e i bambini vengono invitati a esprimere la loro opinione come se avesse il medesimo peso di quella dei genitori. All’altro estremo del "continuum" regole-non regole ci sono addirittura genitori che non ritengono opportuno dare alcuna regola, né imporre divieti, confidando completamente nella capacità dei figli di decidere da soli cosa è meglio per loro. È evidente che tale comportamento di deresponsabilizzazione da parte degli adulti si traduce in una responsabilizzazione del tutto eccessiva a carico dei bambini, da cui si pretende una maturità di giudizio che, per definizione, essi non posseggono ancora. Come orientarsi tra severità e permissivismo? A rischio di sembrare banali, non si può che affermare che, come sempre, in medio stat virtus: l’abbandono del dispotismo genitoriale, in voga almeno fino alla metà del secolo scorso, è stato di sicuro un bene per tutti. Per i genitori, che i figli hanno cominciato a considerare più vicini, confidandosi con loro, e di sicuro per i bambini, per i quali l’attribuzione di un certo grado di responsabilità personale costituisce un passaggio fondamentale per una crescita equilibrata. D’altro canto il prevalere, da parte dei genitori, di un atteggiamento di totale indulgenza nei confronti dei figli comporta il concreto rischio di dimenticare che un ragazzo, per quanto maturo sia, non lo sarà mai quanto un adulto, ed avrà sempre bisogno (fino a quando, appunto, non lo diventerà lui stesso) del consiglio del genitore e della sua funzione di orientamento nella realtà che si esplica anche attraverso lo strumento del divieto. L’assenza di regole e di limiti, considerata a torto come garanzia di libertà, per favorire la piena espressione di sé, si trasforma invece per i piccoli in confusione e smarrimento, rendendoli paradossalmente più insicuri e meno liberi. I limiti posti da un genitore sollevano infatti il bambino dalla responsabilità enorme di giudicare un mondo spesso ancora troppo complesso per la sua visione parziale. Tali limiti consenteno al bambino di vivere la propria vita sentendosi “al riparo”, con il sostegno e la protezione dell’adulto che gli sta accanto. Un divieto non spiegato, a volte, può essere più rassicurante di mille spiegazioni. Chiara Mezzalama Psicologa, psicoterapeuta, AIPPI Laura Mercuri Psicologa, psicoterapeuta © Il Pensiero Scientifico Editore

06/10/2007

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