Bugie: hanno sempre le gambe corte? di C. Mezzalama e L. Mercuri

Bugie: hanno sempre le gambe corte?

 

di Chiara Mezzalama e Laura Mercuri


Cosa sono le bugie? Come nascono?

"La bugia è un’asserzione coscientemente contraria alla verità", questa è la definizione dello Zingarelli. La chiave di volta di questa descrizione è l’avverbio coscientemente: si dice una bugia, in genere, con l’intenzione di ottenere un vantaggio o evitare un danno. Pensiamo per esempio alla bugia detta per nascondere una mancanza, quale un incarico non compiuto adeguatamente, oppure alla bugia di chi vanta una competenza che non possiede per raggiungere un proprio scopo. Tuttavia è bene ricordare che, nell’uso comune, la parola "bugia" conserva comunque una sfumatura di minore gravità rispetto a termini come "menzogna" o "inganno" ed è classicamente utilizzata per parlare di quelle usate dai bambini, che in genere si scoprono facilmente ed hanno, come si suol dire “le gambe corte”. Come nascono? Tutti i bambini, ad un certo punto, “scoprono” le bugie. Si tratta di bugie innocue, ad esempio su cosa hanno mangiato o fatto, ma che hanno una funzione precisa: quella di "sondare" la reazione dei genitori. “Se mamma non ha capito che dicevo una bugia significa che non è in grado di leggermi dentro”... questa è la grande scoperta da parte del bambino che intuisce che, se lui non vuole, nessuno, nemmeno i suoi genitori, può sapere che cosa sta pensando. Il momento in cui il bambino capisce, attraverso la bugia, di avere una mente separata, autonoma e potenzialmente imperscrutabile segna l’inizio della cosiddetta “differenziazione”, un passaggio evolutivo che apre al piccolo nuove prospettive e che generalmente viene accolto dai genitori con reazioni di compiacimento. Difficilmente papà e mamma si arrabbieranno con un bambino che, con uno sguardo furbo, dice “Non sono stato io!” anche quando viene colto sul fatto, osserveranno anzi con meraviglia che il figlio sta imparando a definire un proprio spazio mentale separato.

 

Quando si dicono le bugie?

 

Con il passare del tempo i bambini, scoperta la possibilità di mentire, possono cominciare ad utilizzare la bugia per fini pratici, ad esempio per evitare le punizioni o per guadagnare tempo libero per giocare. In questo caso, diversamente da quanto detto a proposito delle prime bugie, l’atteggiamento dei genitori non è di compiacimento: sentono di dover intervenire, non tanto per punire la bugia in sé quanto per difendere un rapporto di fiducia che dovrebbe essere alla base della vita familiare. Spesso poi la bugia viene detta per abbellire la realtà. Questo comportamento è messo in atto generalmente per dar forma ai propri desideri e, in seguito, per entrare a far parte di un gruppo o per mostrarsi sempre all’altezza delle situazioni. Ma se nel bambino piccolo il confine tra fantasia e fatti oggettivi è labile, ed è quindi facile ristabilire il principio di realtà, diverso è il caso di un ragazzo (o anche di un adulto) per il quale abbellire una realtà sgradita o insopportabile è diventata un’abitudine o persino una necessità. Si tratta di situazioni molto delicate, che vanno considerate attentamente caso per caso, e nelle quali occorre intervenire facendo ricorso a tutta la propria sensibilità; smontare una costruzione fragile ma necessaria richiede infatti una grande prudenza e capacità di empatia.

 

Esistono delle bugie accettabili?

 

Talvolta le bugie possono servire come strumento di protezione nei confronti di persone o situazioni eccessivamente intrusive o impositive. In questi casi, la bugia crea uno spazio di libertà rispetto a regole da rispettare o aspettative troppo vincolanti. Molte “piccole” bugie sono poi socialmente accettate e a volte anche opportune. La tutela dei rapporti familiari e sociali sconsiglia ad esempio di dire verità sgradevoli: non sarebbe semplicemente sconveniente dire che troviamo bruttissime le nuove scarpe che un’amica orgogliosamente ci mostra? Si tratta in questi casi di attenersi alle regole implicite dettate dalla sensibilità e dall’educazione. Ugualmente, la bugia può in alcuni casi essere utilizzata nei rapporti formali, ad esempio per non urtare la suscettibilità di persone con le quali non si ha una relazione particolarmente significativa: un collega di lavoro, un vicino di casa, un lontano parente… Ancora diverso è il caso della bugia detta a protezione di una realtà considerata troppo dolorosa o minacciosa per colui che ne è il destinatario, ad esempio una persona eccessivamente sensibile, che si trovi in una situazione di particolare disagio o di malattia. La necessità di dover dare una cattiva notizia nell’ambito della famiglia, del lavoro o della salute mette sicuramente in difficoltà e impone delle scelte che spesso non sono facili da prendere e che riguardano il modo giusto di dire le cose senza ferire. In questi casi, dire solo una mezza verità, o come si suol dire “addolcire la pillola”, ha il senso di avvicinare gradualmente ad una realtà difficile sia per chi deve parlare sia per chi deve ascoltare.

 

Ci sono bugie e bugie: come distinguerle?

 

Le bugie “sociali”, dettate da un desiderio di protezione di se stessi o degli altri e universalmente accettate, non vanno assolutamente confuse con l’inganno intenzionale. Quest’ultimo nasce dal desiderio di prevalere sull’altro con ogni mezzo e ha lo scopo più o meno dichiarato di danneggiarlo moralmente e praticamente. È quindi utile suggerire un criterio che ci permetta di distinguere tra bugie dette sostanzialmente a fin di bene ed altre il cui scopo è quello di ingannare ed ingannarsi. Chi usa sistematicamente la bugia nel suo rapporto con gli altri rischia di comprometterli gravemente e, nei casi più gravi e reiterati, di intrappolarsi da solo in una ragnatela nella quale ogni bugia ne rende necessaria un’altra, fino a perdere la capacità di distinguere tra ciò che è vero e ciò che è frutto della propria invenzione. Si può arrivare addirittura ad una totale distorsione della realtà oggettiva, con danni molto gravi per la vita individuale e sociale. Si tratta, in questi casi, di bugie patologiche, delle quali sarebbe importante cogliere i primi segni. Nel caso dei bambini, sospendere un giudizio negativo e farsi invece delle domande sulle motivazioni dalle quali nasce il bisogno di modificare la realtà, apre delle prospettive nuove al rapporto e allo sviluppo, ed evita che si instauri il ricorso abituale a consolazioni illusorie basate sul proprio e sull’altrui inganno. Psicologa, psicoterapeuta © Il Pensiero Scientifico Editore

14/09/2007

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