Richard & Piggle, 4 2020. La psicoanalisi dell’infanzia e dell’adolescenza nel tempo della pandemia. Introduzione di Luisa Carbone Tirelli

Focus

La psicoanalisi dell’infanzia e dell’adolescenza nel tempo della pandemia

Introduzione

LUISA CARBONE TIRELLI 

Con il quarto numero del 2020 Richard e Piggle apre alle riflessioni sugli eventi che ci hanno pesantemente coinvolto nel corso di questa lunga pandemia. Eventi traumatici, perché imprevisti e imprevedibili nell’evoluzione, con caratteristiche invasive e inquietanti per gravità ed estensione, che si sono rapidamente imposte all’attenzione di Stati e Continenti, aprendo una fase critica per il mondo intero e per i suoi abi- tanti. Su una pandemia che ci ha fatto sentire all’improvviso oggetto, con i nostri piccoli e giovani pazienti, della necessità di cambiamenti strutturali nel nostro modo di operare come psicoterapeuti, anche se all’esordio lasciavano aperta qualche ottimisti- ca possibilità di previsione temporale e di ritorno alla normalità.

Il primo lockdown infatti ci ha collocato in un tempo sospeso, di attesa, difficile da capire e da gestire, ma con l’idea di un argine definito dall’arrivo dell’estate. Non solo a Roma, ma in tutta Italia, la primavera nel 2020 è stata bellissima, splendente. La sensazione era che la natura si stesse risvegliando, rigogliosa, potendosi giovare dell’aria pulita e del silenzio. Una natura che sembrava aver preso la prevalenza sui timo- rosi abitanti autorizzati a poche, ma comunque importanti, uscite. Per i bambini questa autorizzazione a uscire, a sentire la primavera, non c’è stata. I bambini per mesi sono rimasti nelle case, collegati on-line con scuole ignare della difficoltà e della fatica per un bambino di rimanere concentrato a lungo nell’apprendimento da remoto, in case con i televisori accesi che comunicavano quotidianamente il numero dei contagiati e dei morti.

Gli scritti di questo fascicolo, con i resoconti clinici, raccontano le esperienze di questo primo periodo. Per noi psicoterapeuti conquistare e mantenere una continuità di lavoro con i piccoli pazienti non è stato facile, nella maggior parte dei casi ha portato a lunghe penalizzanti interruzioni di percorsi significativi. È stato importante in questa fase poter condividere le difficoltà e sentirsi sostenuti dal confronto con i colleghi, per poter meglio capire, proporre, concordare, correggere il tiro… Ciò che ci siamo detti era che fosse necessario mantenere comunque la continuità e se per i più piccoli, nell’impossibilità di garantire la distanza, diventava impossibile farli accedere alla stanza d’analisi, quando abbiamo trovato la necessaria collaborazione delle famiglie è stato possibile organizzare il modo per mantenere un contatto. Abbiamo raggiunto i bambini nelle loro case con videochiamate programmate, anche accettando per i colloqui durata e tempi diversi da quelli canonici, a volte più brevi, ma comunque utili per rac- cogliere stati d’animo, per non sparire anche noi ai loro occhi, in una situazione dominata da un crescendo di ansie e timori. Sappiamo quanto spesso le assenze si trasformino in sensazioni di perdita e possano far emergere o rinforzare angosce di morte.

Infatti una domanda, che nessuno dei tanti esperti che hanno dominato la scena dei media si è posto, riguarda la ricaduta della paura, indotta dalle martellanti comunicazioni e ritenuta necessaria per convincere singoli e famiglie a modificare: abitudini di vita, progetti, azioni, incontri, compresi quelli parentali, sui bambini che assorbivano, nell’ambito familiare, insieme alle prescrizioni e ai limiti, le angosce sottese. È mancato un linguaggio, un’apertura alla comunicazione verbale che permettesse l’accesso a difficili ma necessarie spiegazioni che, proposte direttamente, aprono al dialogo, autorizzano anche i più piccoli a porre domande, a far emergere l’espressione di sensazioni e sentimenti d’angoscia.

Molti di questi sentimenti sono stati raccolti da noi psicoterapeuti ed è un patrimonio di esperienze a cui Richard e Piggle desidera dare voce in questo fascicolo e nei successivi del 2021, per poter meglio operare riflettendo sulle ricadute di ciò che sta avvenendo, ma anche per arricchire il nostro desiderio di conoscenza della bellezza e della complessità della mente infantile che inconsciamente, ma costantemente, osserva, introietta, sogna e tenta l’elaborazione della realtà rappresentata dagli stati mentali delle figure di riferimento.

Nella trascorsa primavera, nel primo lockdown, oltre al totale disinteresse delle istituzioni per i bambini, ci ha colpito il ritiro e il silenzio degli adolescenti.

Con gli adolescenti la strada al mantenimento dei percorsi già intrapresi, consultazioni e psicoterapie, e la risposta a nuove richieste per criticità emergenti, si è presentata possibile, più agevole. Il loro silenzio, l’apparente adesione ai tanti limiti imposti dall’emergenza Covid-19 ha trovato nei primi mesi della pandemia un terreno già coltivato, meglio attrezzato di quello dei bambini e degli adulti a colmare separazioni e distanze. Per la maggior parte dei ragazzi la modalità di comunicazione con l’accesso a internet, ai social media, alle chat ha consentito di mantenere la sensazione di essere ancora connessi con i coetanei e ha fornito strumenti di comunicazione, utili in quel primo momento, a chi di noi ha dovuto interrompere le psicoterapie in presenza. È stata un’alternativa a volte ardua, ma percorribile. Leggeremo su questo importanti testimonianze. 

In autunno, con la nuova, per molti imprevista, ripresa della pandemia in tutta la sua gravità e la prescrizione di altre severe norme per il distanziamento, ci siamo trovati di fronte a un cambio di scenario. Gli slogan del primo periodo: “Andrà tutto bene!” Gridati dalle finestre ci appaiono ora come un lontano e ingenuo ricordo. Le risorse messe in campo dai ragazzi per tollerare e arginare, nei primi mesi, i sentimenti di distanza e isolamento, di diffidenza e paura del contatto, ci sembra non tengano più e, anche se le connessioni da remoto si stanno rivelando ancora necessarie, sem- brano non essere più sufficienti ad arginare angosce e sentimenti di deprivazione.

La perdita della realizzazione degli incontri, che per i ragazzi in età scolare è naturalmente garantita dalla frequentazione e dall’appartenenza ad una classe, ad un gruppo sportivo, viene ora percepita come un grande a volte intollerabile sacrificio. Per i nostri pazienti che affrontano con maggior difficoltà l’adolescenza, l’obbligata rinuncia alla dimensione gruppale e la chiusura nelle mura domestiche si sta rivelando ancor più penalizzante, regressiva nella misura in cui, costretti a casa, sono privati di un’alternativa, di una palestra di affetti e di esperienze con i coetanei, necessaria anche perché li allontana da dinamiche familiari spesso percepite con insofferenza e pesantezza.

Daria Ricciardi e Gaia Terzani aprono a un filone che prospetta altri approfondimenti con lo scritto: Adolescenti in lockdown. Anche alla luce del materiale clinico ci offrono interessanti considerazioni sugli effetti che sta provocando l’isolamento sociale e la perdita dell’esperienza gruppale per i tanti ragazzi con tendenze al ritiro e all’isolamento. È una riflessione che porta le Autrici a soffermarsi sull’importanza e sul significato, anche in senso evolutivo, maturativo, che assume per l’adolescente il gruppo di appartenenza, inteso come spazio psichico allargato, nella doppia funzione di luogo di proiezioni, ma anche di introiezioni e di esperienze. A sostegno della loro tesi segnalo i fenomeni di gruppo-banda che si sono evidenziati a cavallo delle recenti festività, che, in un’ottica psicoanalitica, possono indurci a ulteriori riflessioni, alla ricerca di quei significati che suggeriscono la strada per la comprensione e il contenimento di un crescente disaggio sociale.

Mi riferisco ai numerosi raduni di giovanissimi che vanno diffondendosi in Italia con la comune sconcertante caratteristica di conflitti aggressivi e disordinati. Si sono svolti al Pincio di Roma, poi a Napoli e nella prima parte di Gennaio a Gallarate accompagnati dall’allarmante comunicazione: “Tumulti inscenati a Gallarate contro le regole restrittive e le forze dell’ordine da parte di decine di adolescenti armati di mazze e catene”. Questa recentissima notizia, affidata da un importante quotidiano a un trafiletto, ci deve preoccupare perché in questi eventi domina la sensazione di confusione. Li definisco eventi, non manifestazioni, per l’assenza di messaggi e di obbiettivi, se non quello di potersi aggressivamente incontrare per menare le mani. Corpi che si incontrano scontrandosi? Mani per troppo tempo inattive? Li abbiamo per troppo tempo inchiodati nell’angolo privandoli dei luoghi di esperienze e appartenenze gruppali come le scuole e le classi?

Vorrei utilizzare queste considerazioni e gli interrogativi che ne scaturiscono, anche per rendere più evidente la scelta dei contenuti di questo fascicolo e i filoni di riflessioni che ne emergono.

Apre il tema uno scritto di Micheal Rustin che affronta l’emergenza-pandemia in una dimensione psico-sociale. Da un vertice a cui la psicoanalisi attuale dovrebbe dare maggior rilievo per poter riflettere su come le dinamiche della società esercitino una ricaduta sui vissuti psicologici dei singoli e le paure e le ansie degli individui vengano modellate dagli ambienti sociali in cui si formano. Rustin, da questo vertice, usando alcuni concetti fondamentali di Bion come quello di contenitore-contenuto  si chiede come effettuare il contenimento dopo il collasso di alcuni ambienti sociali di riferimento e delle strutture contenitive.

Quali sono le strutture sui cui comportamenti e vissuti dobbiamo riflettere? Che ruolo sta svolgendo lo Stato in questa situazione di emergenza per sostenere le famiglie e le istituzioni di maggior riferimento per i ragazzi, come la scuola e i centri sportivi e culturali? Quanto il collasso prolungato di queste strutture contenitive sta favorendo la comparsa di disturbi e disordini in adolescenti e bambini? Cominciamo a raccogliere dati inquietanti anche tra i giovanissimi, sull’aumento dei disturbi delle condotte alimentari, sui crolli depressivi, sui ritiri con il ricorso a un severo isolamento, sul maggior uso di sostanze psicoattive, sul più frequente consumo di psicofarmaci, sui tentativi di suicidio, sui suicidi di adolescenti che i recenti dati provenienti dagli Stati Uniti segnalano in forte crescita, attribuiti, con preciso riferimento, alla fase pandemica.

Citando Bauman (2009) Rustin considera che le principali angosce che preoccupano la società sono soggette a cambiamenti – che, aggiungo, influenzano anche il cambio di patologie emergenti in quel periodo –. Se a cavallo del secolo scorso la preoccupazione di S. Freud, era l’eccessiva repressione e i vincoli imposti al desiderio – dominava l’isteria – a cavallo del secolo attuale l’ansia sociale nei confronti dei giovani sembra rivolta all’eccesso di una libertà senza limiti. Non più delegata alla fantasia e da essa elaborata, ma rapidamente tradotta in agiti nell’espressione dell’aggressività, ma anche della sessualità, con una ricaduta sulla definizione dell’identità di genere e sulla conseguente mutazione della composizione familiare – il recentissimo ufficiale cambiamento di dizione nei documenti di identità: genitore 1, genitore 2, non più padre e madre, lo rappresenta –.

Un’altra ansia sociale, che negli ultimi anni abbiamo visto diffondersi e divenire oggetto di allarmato dibattito, riguarda i velocissimi cambiamenti di ordine cognitivo e relazionale, con un riflesso quindi anche sui comportamenti aggressivi e sessuali, che l’uso indiscriminato delle nuove tecnologie – tablet a disposizione sin dalla primissima infanzia – sta producendo sulle nuove generazioni.

L’articolo di Beatriz Janin: L’incidenza della tecnologia nella costituzione dell’identità, che con piacere pubblichiamo, scritto nei mesi che hanno preceduto l’arrivo della pandemia, illustra efficacemente le ragioni di quest’ansia. Interrogandosi e interrogandoci sull’influenza delle tecnologie e sull’uso che ne fanno le nuove generazioni, evidenzia le ricadute nella costituzione dell’identità, della soggettività. Più in particolare, esamina gli effetti sulle relazioni interpersonali dell’irruzione di quelle tecnologie che favoriscono, sin dalla primissima infanzia, l’iperconnessione, con la prevalenza del linguaggio visivo su quello verbale. L’ipotesi dell’Autrice è che ciò possa produrre rotture o allentamenti dei legami, fondamentali in età evolutiva, sia con gli adulti di riferimento che con i pari.

Lo scritto che lo affianca, proposto dai membri di un gruppo di studio della SIPsIA sull’uso del virtuale nelle psicoterapie:  Usi e funzioni del virtuale nella pratica clinica, dialoga con questa tesi aprendo a un arricchimento della riflessione, e sembra rispondere anche alla considerazione conclusiva di Janin per cui non è la tecnologia che dobbiamo temere, ma la rottura dei legami che consegue all’uso che se ne fa. Lo studio del gruppo SIPSiA sull’entrata del virtuale nell’incontro con bambini nella stan- za d’analisi è descritto ampiamente e offre un contributo alla nostra necessaria ma complessa riflessione nelle molte situazioni in cui, a causa della pandemia, il virtuale è diventato anche il setting della psicoterapia.

Infatti, per la necessità, improvvisa e imprevedibile, di dover evitare contatti e assembramenti umani che la pandemia ci ha imposto, le connessioni da remoto nel corso dell’ultimo anno sono massicciamente entrate in tutti i livelli di comunicazioni: istituzionali, culturali, individuali e gruppali, e anche nei nostri setting e nei processi psicoterapeutici. Anticipando probabilmente prassi sulle quali stavamo già discutendo, ma non eravamo ancora preparati a percorrere.

È quindi indispensabile chiedersi come noi psicoterapeuti stiamo vivendo questi cambiamenti. Con la sensazione di dover resistere, accettandoli solo nell’attesa di poter ripristinare le nostre consolidate abitudini? Oppure con un’adesione al nuovo, tutta da capire, ma che difficilmente ci consentirà di riassumere inalterate regole e consuetudini?

Sin dal primo lockdown ci siamo trovati a dover superare limiti e divieti ridefinendo le modalità degli incontri, offrendo le necessarie modificazioni dei parametri spazio-temporali ai pazienti, che hanno alterato quanto già stabilito e concordato con singoli e famiglie. Abbiamo così accettato di intervenire sul setting, su un elemento strutturale su cui ci siamo fortemente basati per poter dare ai contenuti della relazione, allo stabilirsi e svilupparsi di un transfert, una possibilità di lettura, di comprensione e contenimento delle angosce dei pazienti. Il setting è una struttura utile alla cu- ra, ma che ci definisce anche a livello identitario. Troviamo interessanti considerazioni sull’effetto di questi cambiamenti sia sugli psicoterapeuti che sui pazienti negli articoli di V. Garms, P. Ferrigno e G. Molinari.

Veronika Garms con i suoi: Pensieri dal lockdown ci comunica quanto percepisca rischiosa l’irruzione del Coronavirus che ha portato a una reale frattura della relazione tra paziente e terapeuta a causa del reale rischio di contagio, che ha imposto reali barriere – molto interessanti sono le considerazioni dell’Autrice sulle mascherine, sul mascheramento. La domanda che ci pone è quanto questi cambiamenti del reale possano avere ripercussioni psichiche, fantasmatiche profonde sui nostri pazienti, innescarsi su antichi traumi, favorire alleanze terapeutiche compiacenti. È una domanda che pretende e merita la giusta attenzione, non risposte affrettate. Apriamo le pagine di Richard e Piggle alle presenti e future elaborazioni che cercheranno risposte per queste e per le altre domande che i nostri Autori formulano. È anche questo un modo per mantenerci, come Garms suggerisce: oggetti vivi, pensanti, atti ad essere usati dai pazienti, meglio attrezzati nell’affrontare le emergenti, incalzanti difficoltà dei processi di cura.

Interessanti proposte, in questo stato di incertezza e di interruzione della continuità, emergono nell’articolo di Paola Ferrigno e Giulia Molinari: Arcobaleno da remoto. Le Autrici riportano un suggestivo materiale clinico di bambini di 9 e 12 anni, giovanissimi pazienti a cui le terapeute, nel primo lockdown, si sono rivolte usando tutti gli adattamenti utili e necessari a evitare la frattura dei legami, con un’attenzione costante al riflesso di eventi e cambiamenti sulle ansie emergenti e sulla qualità de- gli intrecci transferali. Mi sembra importante che la considerazione che ne emerge, il punto d’urgenza, sia individuato nella necessità di aiutare i bambini ad uscire da quel senso di immobilità che li colloca in uno stato che ha cancellato il passato e non riesce a immaginare un futuro. Condizione di base per quei crolli depressivi che ci vengono sempre più spesso segnalati.

Quindi, anche noi che ci occupiamo di infanzia e adolescenza siamo, come la scuola e l’università, di fronte alla necessità di dichiararci coinvolti in prima persona e impreparati, e ci auguriamo che i filoni di lettura che apriamo con questo fascicolo trovino uno svolgimento, un utile confronto, un’elaborazione su quanto si sta propo- nendo per alleviare e curare il disagio e il disturbo di bambini, adolescenti e famiglie.

Va anche meglio compreso l’impatto dell’ansia sociale in questo specifico periodo di crisi sanitaria, politica economica, che sta sconvolgendo gli assetti personali e familiari, ma che in particolare si sta riverberando sulle nuove generazioni che rappresentano il futuro e sollecitano una responsabilità in più.

L’invito in ogni esperienza psicoanalitica è di porre al centro: attenzione, capacità di osservazione e comprensione dell’altro. I numerosi resoconti clinici di questo e dei prossimi numeri di Richard e Piggle ce lo ricordano, ma ci ricordano anche che è indispensabile chiedersi come noi psicoterapeuti stiamo vivendo i cambiamenti che ha comportato. Se poi monitoriamo la caratteristica delle attuali e diffusissime ansie causate dalla pandemia, non possiamo ignorare che le prolungate restrizioni stiano prospettando, preparando con molta probabilità, un ulteriore cambio di paradigma. Da molti mesi è mutata completamente l’attesa dell’incontro con l’altro. Il piacere nel prevederlo si è intessuto sempre più di paura. La fantasia di ogni adolescente su come e dove realizzare un incontro, anche quello sessuale, è complicata dalle paure associate ormai a tutti i contatti e alla ricerca dell’intimità. Mi diceva una ragazza: “Non riesco ad immaginare di poter entrare in una discoteca, quando sarà nuovamente possibile io non ci andrò!”. E aggiungeva: “Non ti credere, siamo divisi a metà, molti la pensano come me, molti altri non vedono l’ora di buttarsi, non pensano ad altro!” A conferma di un’idea che circola sempre più diffusamente: “Niente sarà vissuto più come prima!” Mi pare che la condizione di sofferenza, legata all’isolamento e al divieto di contatto, non più soddisfatta dai media, dai social, dalle chat, stia indirizzando il deside- rio dei nostri giovani pazienti al recupero della fisicità nelle relazioni interpersonali e gruppali. Non sappiamo come saranno realizzati e gestiti questi emergenti bisogni. La nostra stanza d’analisi è testimone delle loro ansie, ma anche delle tendenze che si stanno manifestando nei rispettivi gruppi di appartenenza. Penso serva uno sforzo in più per condividerle tra colleghi, ma anche pubblicizzarle per ottenere una ricaduta della nostra esperienza sul versante sociale, affinché le istituzioni deputate alla cura di bambini e adolescenti se ne facciano un più attento carico. È anche questo un importante obbiettivo della Redazione di Richard e Piggle.

 

Allegati

19/02/2021

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