Da "Il Dubbio" Cultura 16/05/2020. L'identità mascherata della pandemia. Di L. Zaccaria

 

L'ex Presidente dell'Ordine degli Psicologi del Lazio, la Dr.ssa Marialori Zaccaria, apprezzando l'iniziativa di AIPPI di dedicare una sezione del sito all'emergenza coronavirus, ci ha gentilmente e generosamente concesso di pubblicare il suo articolo dal titolo "L'identità mascherata della pandemia" apparso il 16 maggio 2020 su il Dubbio, inserto Cultura.

Con onore e gratitudine, lo pubblichiamo.

 

L'identità mascherata della pandemia

Il dilemma di chi sono io e chi è l’altro è stato rovesciato dall’emergenza globale che ci costringe a costruire un’identità travestita e senza volto

 

Lori Zaccaria

 

Un tempo, chi si copriva il volto era un malvivente, un criminale. Vengono in mente i film western di una volta dove famigerati banditi come Jesse James, con il viso coperto e la pistola in pugno, rapinavano le banche.

Infatti, all’inizio della pandemia, quando le mascherine erano introvabili, poteva capitare di sentirsi dire con un sorriso: mettiti un fazzoletto sul viso, alla Jesse James. Quando coprirsi il volto nasceva dalla necessità di non farsi riconoscere.

A volte, per strada, mi è capitato di non riconoscere persone che conosco e che mi salutavano: perché indossavano la mascherina. Ma ora che negli ultimi tempi la indossiamo tutti, quale è il nostro vissuto rispetto a una identità mascherata o, per meglio dire, a una identità senza volto?

Può capitare di fare a noi stessi queste domande: «Quale reato sto commettendo? Sono un asintomatico? Sono un untore?

Sono un pericolo per l’Altro da me? E l’Altro da me chi è? E’ pericoloso?» . Quanti dubbi o per meglio dire quanti tarli si accumulano nella nostra mente in questo periodo di pandemia. E l’allerta sale, per cui veniamo assaliti da una sorta di ansia quando incontriamo qualcuno senza mascherina. Lo guardiamo con sospetto e aumentiamo quasi senza accorgercene la distanza da lui.

Insomma giriamo alla larga. E attribuiamo a colui che non gira mascherato, arroganza, egoismo, e mancanza di solidarietà. Poi, riflettendo, pensiamo che lui in realtà forse crede – in maniera onnipotente- di essere immune, di non potersi contagiare.

Oppure – chissà – forse gira senza mascherina per protesta nei confronti del governo che ha emanato disposizioni che hanno ridotto la sua libertà. O pensa addirittura che possa essere in atto un complotto contro l’umanità. Come se vivesse in una sorta di Truman show.

Si è pensato ad interi Paesi come untori, ricordate?

Prima è toccato alla Cina, poi all’Italia. Oggi è di nuovo il turno della Cina che deve difendersi dalle accuse dell’America. D’altronde viviamo o no in un mondo globale?

Quando scoppiò l’infezione da HIV, gli untori erano solo alcune categorie sociali, come i tossicodipendenti e gli omosessuali.

Oggi sono interi paesi ad essere sospettati, con milioni o miliardi di persone. Se dietro le mascherine si crede di scorgere degli occhi a mandorla, il pensiero va subito alla Cina. Sospetti, dubbi, tarli, timori. Paranoia.

Sul mio pianerottolo c’è un B& B. Quando, due mesi e mezzo fa, ancora si pensava che il Sars- Cov2 fosse un problema solo cinese, proprio una coppia cinese – circostanza un po’ curiosa, ma nemmeno tanto, abitando nel centro di Roma – è venuta a soggiornare per qualche giorno nel B& B.

Una mattina stavamo uscendo ed eravamo proprio sul pianerottolo. Si è aperto il portone e ci siamo trovati faccia a faccia con i signori cinesi – moglie e marito – che uscivano anche loro. Buon giorno, buon giorno, sorrisi imbarazzati ed un batticuore inconsueto ed esagerato.

Quante risate ci siamo fatte nei giorni successivi sui nostri pensieri paranoici causati dai signori cinesi. Comunque eravamo sempre un po’ impacciati quando li incontravamo. E ce ne vergognavamo un po’. Insomma, in questo periodo, il dilemma Chi sono Io” e “Chi è l’Altro” è messo completamente in crisi.

Il corpo si fa pensiero. Le invisibili goccioline impregnate di virus che potrebbero contagiare, contagiano in primis il pensiero, che si fa, oltre che paranoico, ipocondriaco. Anche un semplice starnuto ci fa sobbalzare. Qualcuno al primo starnuto si misura subito la febbre. E mentre – non tanto tempo fa – dopo uno starnuto si diceva per educazione, «salute».

Oggi si tace, e chi lo ha emesso si giustifica: «E’ allergia». E se si tossisce ci si scusa con un: «E’ tosse da fumo».

E poi, vogliamo parlare dell’essere passati dal frastuono assordante della città, e della movida, a un silenzio assordante? Un ossimoro che ci ha colto di sorpresa, che ci disorienta, che non ci fa più capire cosa succede, dove ci troviamo.

Non è una stranezza – una cosa inconcepibile fino a qualche tempo fa – essere allarmati dal silenzio?

Ricordiamo sempre quello che accadde anni fa in un quartiere di New York. Un giorno i centralini della polizia cominciarono ad essere intasati dalle telefonate di gente agitata ed allarmata, sicura che stava succedendo qualcosa di grave.

Nessuno però, sapeva dire di cosa si trattava. Ci volle un po’ di tempo ma alla fine si scoprì l’origine di quell’ agitazione collettiva.

Era stato abolito un treno notturno della metro che passava vicino ai palazzi e il silenzio subentrato a quel rumoroso sferragliare stava mandando in tilt centinaia di persone.

Ora, se sentiamo una sirena in lontananza, pensiamo subito ad un’ambulanza che corre ver- so l’ospedale più vicino. Prima della pandemia, quella sirena nemmeno la notavamo.

Quando Freud sbarcò in America disse: «Stiamo portando la peste».

Il pensiero psicoanalitico era così innovativo e rivoluzionario che poteva essere vissuto come una peste per le menti.

Oggi invece la situazione si è invertita. La peste ( la Sars- Cov2) c’è, esiste realmente, la gente ne muore. E prima di appestare il nostro corpo appesta le nostre menti, i nostri pensieri.

Ci dicono di isolarci e noi ci isoliamo. E cosa accade nel confinamento ( lockdown)? Quali pensieri si affollano nella nostra mente?

Non è il confinamento in quanto tale che produce stati ansiosi e a volte veri e propri attacchi di panico. E’ il rimpianto di ciò che c’era prima e che temiamo di non poter più rivivere. Emily Dickinson scriveva: «Non può scordare il cuore a meno che contempli ciò che lascia…».

Esiste solo un passato e un presente. E un domani?

Ora, noi sappiamo bene come sia fondamentale vivere il presente. L’hic et nunc o se volete il carpe diem. Ma questi momenti presenti possono essere vissuti appieno e con godimento solo nel momento in cui esiste – strano a dirsi – un domani. Dunque ci domandiamo come sarà il domani e soprattutto: quando sarà domani?

La fase 2. La fase 3. E a Settembre cosa accadrà?

Nella fase 2 è già accaduto qualcosa di positivo. E per fortuna. Nelle piazze si risentono – come accadeva nel passato – le voci degli abitanti che ne hanno ripreso possesso. Soprattutto sono finalmente tornati i bambini che corrono e giocano felici.

La movida, il turismo e i cosiddetti artisti di strada li avevano cacciati via. Si erano nascosti, sembrava che non esistessero più i bambini.

Come le lumache dopo una pioggia sono finalmente riapparsi. E speriamo che possano rimanere. Nostalgia del passato.

Per fortuna c’è un’altra certezza. L’uso delle tecnologie WhatsApp, Skype, Zoom, in questo tempo di confinamento hanno reso possibile i contatti virtuali. Per esempio nella scuola. Non più chiusi in un’aula insieme al gruppo classe, si usa Zoom. Ed è possibile vedere e parlare con gli amici e con gli affetti lontani, anche da un letto d’ospedale. Ed anche possibile lavorare da remoto ( smart working).

Ci sentiamo come gli astronauti del film di Kubrick 2001: Odissea nello Spazio, quando via video l’astronauta David Bowman festeggia il compleanno del figlio rimasto sulla terra, che spegne le candeline della sua torta. Non possiamo più vivere lo spazio esterno, se non in modo virtuale.

Ed è successo tutto in modo repentino, senza preavviso. Nemmeno il perché è ancora del tutto chiaro.

Lo spazio reale è ridotto alla casa, il silenzio è assoluto, il tempo a nostra disposizione è immenso. Ci sentiamo proiettati in un film di fantascienza.

Ma un cambiamento così catastrofico – grazie alla tecnologia ha fatto esplodere anche qualcosa di positivo.

I nostri cellulari sono sommersi da messaggi colmi di creatività, di comicità, di ironia, e a volte di immagini bellissime, che ci fanno ridere, sorridere o riflettere, a seconda dei casi.

Sappiamo bene come il riso permette di sdrammatizzare questi terribili e a volte tragici momenti.

E’ un fenomeno sorprendente. Il pensiero creativo in tempi normali era evidentemente imbrigliato, imbavagliato, nascosto, e ora si manifesta e va a briglia sciolta.

Anche questo è un cambiamento epocale. Forse è dovuto alla disponibilità di tempo – visto che per lo più non si è lavorato e alla lontananza dalla frenesia della vita quotidiana che vivevamo. Dobbiamo sperare che questo fenomeno non si arresti ma anzi che si sviluppi sempre di più.

Abbiamo bisogno di far vivere il Pensiero Creativo. E mentre ci copriamo il volto, scopriamo l’ironia, la creatività, la bellezza. Viviamo un tempo infinito in uno spazio limitato. E dire che ci troviamo in un mondo globalizzato. Buffo, no?

Una canzone di De André dice: «… e dal letame nascono i fior». Cambiamenti che anche se catastrofici possono portare a una nuova “impollinazione”, come la chiama mio figlio.

Dobbiamo sperarlo, anche se il linguaggio usato dai media spesso allontana questa possibilità, perché tenta di esorcizzare in modo grossolano quello che accade.

Da qui l’uso di un linguaggio guerresco. Si parla di guerra, di battaglie da vincere e di un nemico da sconfiggere.

Oppure si utilizzano parole in inglese, che non tutti capiscono o che vengono fraintese.

Ed ecco quindi che anziché farci comprendere la necessità più che mai urgente di cambiare il nostro modo di vivere, il nostro mondo, e di non continuare a distruggere la natura, perché la distruzione di essa ci mette più a contatto con gli animali selvatici, questi sì, in certe circostanze, veri portatori di virus.

Non i cinesi quindi, non gli italiani, non i tossicodipendenti, non gli omosessuali. Ma animaletti come il pipistrello o il pangolino di cui continuiamo a distruggere l’habitat.

Il linguaggio dei media tende dunque a nascondere la polvere sotto il tappeto.

Maschera anche la vera “identità” del virus. Rende difficile capire, vedere e mettere in campo un vero cambiamento.

Perché in sostanza gli artefici della pandemia siamo noi e solo noi.

Che da predatori siamo diventati prede. Vittime di un virus, vittime dei sensi di colpa, prigionieri delle paranoie.

E domani? Che succederà domani?

 

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17/05/2020

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